«Mi dichiaro anch’io sovranista, ma sovranista europeo». Rompe un tabù lessicale il segretario del Partito Democratico (PD) Enrico Letta su un termine («sovranista») da tempo strumentalmente demonizzato dalle oligarchie politico/giornalistiche interne e sovranazionali di cui pure lo stesso è ideologicamente parte. È un tabù di forma, funzionale alla ‘guerra ideologica delle parole’, perché nella sostanza non lo si nega, salvo confliggere sul ‘decisore’ d’ultima istanza. Un tabù vigente –nella forma e nella sostanza– pure in settori ‘di sinistra’ o comunque in aree politiche fautrici di politiche e assetti di società radicalmente diversi da quelli dominanti, che però si condannano al velleitarismo proprio perché non sciolgono il nodo politico ‘principale’ (perché ‘preliminare’) della liberazione da ogni vincolo di dipendenza dagli interessi oligarchici esterni ed interni al Paese: da qui il loro ripudio del patriottismo, dell’indipendentismo nazionale e quindi del perseguimento di un’effettiva sovranità politica delle classi popolari subalterne.
Letta si è dichiarato “sovranista europeo” nel corso della presentazione, per via telematica, del Rapporto Annuale dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) sulla UE dal titolo “Il mondo al tempo del Covid: l’ora dell’Europa?”. Ha suscitato imbarazzo e censure questo passaggio. Sui principali quotidiani e organi radio-televisivi c’è la notizia del convegno ma, eccezioni a parte, su quel passaggio si glissa. L’imbarazzo è di forma, non di sostanza. Chiunque minimamente raziocinante, a qualsiasi livello, da qualsiasi angolazione politica, ‘sa’ che il nodo del ‘chi’ decide in ultima istanza è un passaggio-chiave, ‘sa’ che la sovranità è consustanziale allo ‘spazio politico’, ma nell’era della ‘guerra delle parole’, del colonialismo culturale di addomesticamento in essere da molti, troppi decenni (anche) nel nostro Paese, quel concetto su scala nazionale e stato-nazionale deve essere svilito, denigrato, annichilito. Deve esserlo perché si impongano incontrastati dominanze altrui, che sia il sovranismo euro-unionista di matrice tedesca e/o francese o il sovranismo atlantico statunitense, tra loro confliggenti sulla preminenza d’ultima istanza ma convergenti sulla negazione e denigrazione ideologica delle sovranità nazionali e/o statuali. Se necessario –si veda lo scenario internazionale– da minacciare e reprimere a tutto campo, interventismo militare incluso. In questa Italia, periferia colonizzata dell’impero statunitense, contesa dalle brame “europee” di Francia e Germania, “sovranista” vale ancora come demonizzazione di “nazionalista”, come ‘insulto politico’ rispetto ai più astratti e narcotizzanti concetti di cosmopolitismo, di globalismo e, in questa parte di mondo, di europeismo.
Letta ha evocato due ovvietà: non solo la valenza ineludibile del concetto di “sovranità”, con il policentrismo che questo comporta (si noti infatti il suo “ma”, puntato ad una declinazione specifica, di parte, di sovranismo), ma anche la sua concretezza, cioè contorni geografici e politici di (effettiva o meno…) identità distintiva da ‘altre’, tramite un aggettivo che la qualifichi, con inevitabili ricadute ‘materiali’ su quali interessi e quali ripercussioni politico-sociali in quel dato spazio.Nelle sue dichiarazioni Letta ha aggiunto qualcos’altro di significativo sullo scenario politico italiano dell’oggi di fase. Il suo auspicio, dopo l’«evoluzione» del M5S su posizioni europeiste (con interessato occhieggiamento ad una guida di Giuseppe Conte dello stesso), ha riguardato la Lega:: sarebbe «contento» se, dopo il sostegno al governo Draghi e la conversione a “U” verso l’europeismo, il partito di Matteo Salvini si avvicinasse al Partito Popolare Europeo. Altrettanto interessante la replica di Salvini: «Se la pandemia insegna a concentrarsi su grandi temi è un passo avanti, possono andare insieme il sovranismo e l’europeismo, coniugati dal pragmatismo alla Draghi».
A latere di questo quadro, è intervenuta la Meloni sul Corriere della Sera (30 marzo 2021): ribadita la scelta per il suo partito, Fratelli d’Italia, di definirsi «patriottico», ha rivendicato l’«onore» di essere presidente dei “Conservatori e Riformisti Europei” «per un modello confederale di Europa». Nell’area, poi, che potremmo definire ‘diversamente sovranista’ da quella di Letta, Salvini, Meloni, eccetera, proseguono i distanziamenti politici dal termine fino a ieri assunto ed oggi superato a causa del “Potere che deforma le definizioni”: non più “sovranisti”, ma patrioti rigorosamente costituzionali. Un’espressione («patriottismo costituzionale») teorizzata in termini liberali negli anni Ottanta da Jürgen Habermas per indirizzare culturalmente e politicamente la transizione dagli ormai superati (beninteso: per l’ideologica liberale divenuta alter-sovranista) Stati-nazionali alla nuova “Patria Europea”.
Dentro la “guerra delle parole”, passano concetti e visioni. Essere attrezzati al riguardo qualifica e fa sempre la differenza per le implicazioni culturali e politiche che comporta. “Indipendenza” da molto tempo, anche in tal senso, sta facendo la sua parte.
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