L’anno del Dragone?

Mattarella cala la carta Draghi. Da tempo e da più parti evocata, l’ha resa possibile il capolavoro di Renzi che con spregiudicata abilità (e i pochi parlamentari al seguito) ha tessuto le sue trame per far cadere il governo (europeista) di Conte e ne ha saggiato la tenuta prima di spianare la strada a Draghi e al suo governo (europeista) d’intesa fattiva con il Quirinale. Il Renzi pieno di sé, ambizioso, narcisista è riuscito, perché gli altri –tutti, ma proprio tutti– si sono dimostrati dei mediocri assoluti, e perché potenti sono le forze (atlantiche) di cui lo ‘sceicco di Rignano’ ha funto da volàno con tanto di avallo presidenziale di Mattarella.

Ora, se un nome del calibro di Draghi non poteva essere (im)posto da Mattarella e lo stesso interessato non poteva calarsi in un’avventura senza garanzie importanti, purtuttavia l’operazione palesa una certa precipitosità, alla luce del fatto che –’per loro’, per certi poteri– un altro nome ‘spendibile’ almeno quanto Draghi non c’è e appunto, proprio perché non è scontato che riesca, il rischio è di bruciarlo anche in vista di quello che appare esserne l’approdo e la collocazione strategica: il Quirinale. Adesso, però, perché Draghi presidente del consiglio possa partire e soprattutto ‘reggere’, è necessaria una larga maggioranza, la stessa che lo legittimerebbe anche agli occhi della cosiddetta ‘opinione pubblica’, in vista della sua proiezione al Colle supremo. Una volta lì, la garanzia dell’osservanza di certi vincoli ed interessi euro-atlantici sarebbe potentissimamente assicurata e qualificherebbe moltissimo la funzione atlantica di Draghi: la nuova amministrazione Biden punta ad un’altra gestione nei rapporti euro-atlantici, dopo quella poco fruttuosa della precedente amministrazione Trump, ma sempre al fine di contenere e ridimensionare le aspirazioni egemoniche del direttorio franco-tedesco intanto nella UE. Biden-Renzi-Mattarella-Draghi: una filiera che è tutto un programma…

Eppure, al di là dei toni drammatici rilanciati anche dall’attuale inquilino del Quirinale per dare più forza e rendere il più accettabile possibile l’arrivo dell’ ‘uomo della Provvidenza’ o, se si preferisce, della ‘figura’ cui non si potrà dire di no, questi sta terremotando dove più dove meno pressoché tutti i partiti al loro interno con annesse coalizioni in essere (Lega, FdI, Forza Italia) e in costruzione (PD, M5S, LeU) nonché ingarbugliando le grandi manovre sull’eventuale nascita di un partito neo-centrista prodotto della disaggregazione e riaggregazione di fronde di partiti e di partitini. L’antipatia personale e politica tra Conte e Renzi ci dice che la corsa ‘al centro democratico, liberale, cattolico, europeo’ già riflette un’aperta guerra per la ‘leadership’ con dentro altre figure come i vari Calenda, Toti, Carfagna, Tabacci, Casini, ecc., che ambiscono allo stesso ruolo.

Ora, se è vero che chi si porrà contro Draghi, si porrà contro l’ordine che a Bruxelles e a Francoforte per certi versi e a Washington per altri –con diverse accentuazioni ed interessi– si vuole che regni in Italia (un ‘fronte’ che ‘in alto’ è tutt’altro che coeso e compatto, e che ‘in basso’ –anche in Italia…– esige silenzio, assenso e sottomissione) il problema è che l’esperienza Monti di dieci anni fa, tutta lacrime e sangue, con tempi ed intensità accelerati rispetto ai precedenti esecutivi europeisti, aleggia come uno spettro per le reazioni che ha poi prodotto: una drastica flessione dei partiti che l’avevano sostenuto (in primis Partito Democratico e Forza Italia) e l’affermarsi potente di forze percepite come anti-sistemiche. Certo, M5S da un lato e destre sovraniste alter-europeiste dall’altro si sono poi rivelati inadeguati ed illusori, già per certe premesse che li connotavano, hanno disatteso aspettative di cambiamento radicale fattivamente inconciliabili con le politiche euro-unioniste e si sono logorate ‘al potere’ (in modo direttamente proporzionale alla permanenza…) palesando le loro genuflessioni alla Troika.

Non sarà sorprendente che un esecutivo Draghi nel pieno delle sue funzioni faccia impallidire l’operato del suo più affine predecessore quale è stato l’altro “SuperMario” (Monti) con scelte impopolari ed antipopolari. Il tornante storico è del resto epocale: i fondi del Recovery Fund, sulla cui valenza salvifica impazza una narrazione che ne stravolge senso e termini, rispondono ad interessi non nazionali e rafforzano la catena del debito estero rinsaldando le politiche austeritarie per decenni a venire. Rappresentano fondamentalmente una grande mangiatoia per multinazionali, Confindustria, notabilati, politicanti, eccetera, e servono a baricentrare saldamente la UE dentro l’Italia, irrobustendone il già esistente commissariamento ed ancorandola possibilmente in modo irreversibile.

Una UE senza l’Italia, del resto, avrebbe poca appetibilità per i dominanti franco-germanici, e soprattutto il suo essere ‘fuori’ e ‘senza vincoli’ potrebbe anche insidiarne le rendite di posizione e i vantaggi. Altro che “generosità europea”!

I partiti che sosterranno Draghi rischiano i salassi che subirono quelli che sostennero Monti alle prime elezioni utili, così come rischiano anche quelli che si accingono, in modo opportunistico, a tenere il piede in due staffe (non ‘con’ Draghi, ma nemmeno ‘contro’ Draghi e quel che rappresenta) blaterando di “opposizione responsabile” per mascherare la propria sostanziale connivenza. Se il ‘dopo’ inquieta, è soprattutto la gestione di un ‘presente storico’ peggiore dello scenario in cui aveva imperversato Monti che rende la situazione italiana attuale esplosiva e tutt’altro che affrontabile nel contesto e secondo le “regole” euro-unioniste ed euro-atlantiche.


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