Anomalo e significativo, mercoledì scorso, l’incontro al Quirinale tra Draghi e Mattarella.
Riservatezza e scarsa risonanza a parte (notizia diffusa due giorni dopo), anomalo è che Mario Draghi, presidente (uscente a breve) della Banca Centrale Europea esuli dai suoi compiti ed il secondo, Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, lo riceva senza la presenza di nessun esponente del governo, nemmeno del ministro dell’Economia, Tria, uomo peraltro voluto dal Quirinale stesso. L’incontro Draghi-Mattarella è insomma l’immagine plastica di un’Italia costantemente in amministrazione controllata a fronte di un governo che, sui fondamentali economici, si barcamena tra compatibilità UE e tentativi di rabberciare (al netto di qualsivoglia valutazione di merito sui singoli provvedimenti) qualcosa di rispondente alla domanda emersa con il voto del 4 marzo scorso, una domanda di cambiamento e di ‘inversione di marcia’ rispetto ai vincoli ‘austeritari’ di Bruxelles e Francoforte.
Oggetto dell’incontro, infatti, la manovra di bilancio. Il DEF contiene obiettivi e cornice delle misure che prenderanno forma con la legge di Bilancio dopo l’approvazione del consiglio dei ministri il 20 ottobre. Draghi, si sa, assertore da sempre dell’irreversibilità dell’euro, è molto critico sulla manovra e teme che, con emendamenti alle Camere, il testo presenti, dal suo punto di vista, ‘peggioramenti’ anti-austeritari.
Al netto di passaggi istituzionali, quali Ufficio parlamentare di bilancio ed esame della Commissione Europea (CE), Mattarella potrà vigilare sui conti facendo valere le sue prerogative di guardiano della Costituzione grazie ai nuovi articoli 81 e 97, che concedono scarsi margini di flessibilità rispetto al criterio del pareggio di bilancio.
Due giorni dopo l’incontro è arrivata la prima bocciatura della CE, ancor prima che il testo fosse definito. Oggi (8 ottobre) lo “spread” ha sfondato quota 300 ed il 26 e il 31 ottobre Standard & Poor’s e Moody’s emetteranno il loro “rating” (valutazione) sull’Italia. In caso di declassamento, mancherebbe un solo gradino al livello in cui i titoli di Stato di un Paese sono considerati “spazzatura”, cioè a rischio di non essere rimborsati. La spirale è nota: ulteriore aumento dello “spread” e valutazioni sulla spesa per interessi sul debito (nella Nota al Def) da correggere al rialzo. Ovviamente, con il declassamento, la CE avrebbe ulteriori argomenti per bocciare la manovra e chiedere modifiche al governo, pena l’apertura di una “procedura d’infrazione”. Non ossequiare impennerebbe ulteriormente lo “spread”, con siluramento del governo e, perché no, possibile nomina dello stesso Draghi, da parte di Mattarella, per un governo di “garanzia”.
Insomma, questo è lo stato dell’arte e questa è l’Unione Europea. Forse tra i pochi lasciti (fosse anche l’unico!) di questo governo, positivo sarebbe proprio il far emergere l’alterità inconciliabile tra Unione Europea da un lato ed interessi nazionali e popolari dall’altro. ‘Accumulare forze’ in una lotta di liberazione non è mai cosa da poco!
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