1. SUL PETROLIO, IL G7 VUOLE IMPORRE IL PREZZO.
Il G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America) ha deciso ieri sera di introdurre un tetto massimo al prezzo del petrolio russo. Da Mosca hanno già fatto sapere che la Federazione Russa non accetterà alcuna imposizione di prezzo e che, se adottato, il gas russo non arriverà in Europa. Gazprom ha quindi fatto sapere che il Nord Stream non ripartirà, com’era previsto dopo i tre giorni di manutenzione. Il G7, inoltre, ha dichiarato l’intenzione, senza precisare ‘come’, di vietare i servizi di trasporto marittimo del petrolio russo se questo viene venduto al di sopra di un certo limite. Da vedere quale sarà la risposta di altri Paesi, Cina e India in primis.
In Italia e nell’Unione Europea intendono varare un razionamento che preveda insegne spente di notte, spegnimento in aree a rotazione dell’illuminazione pubblica, negozi che chiudono prima, niente docce calde, pc e tv a basso regime, forse l’estensione dell’ora legale tutto l’anno. La proposta di chiusura, il sabato, delle scuole si è ben presto ridimensionata perché darebbe un risparmio limitato: un’alta percentuale di scuole, infatti, già da alcuni anni chiude il sabato, nel quadro dei tagli varati per far fronte alle politiche austeritarie, recessivo-depressive di Commissione e Banca Centrale Europea.
Ora, questi ed altri consimili provvedimenti sono pressoché inutili rispetto al problema, ma servono per far vedere che si sta facendo qualcosa. Si tratta di palliativi, a fronte dei consumi energetici necessari per la produzione industriale, per l’erogazione di servizi come il trasporto su ferro, la telefonia, e mille altre cose. Oltretutto, per le aziende produttive, esercizi commerciali, ecc., il problema non è tanto la carenza di fonti energetiche, quanto il loro costo che non diminuisce certo facendosi meno docce.
2. CARO ENERGIA ED INFLAZIONE.
Federdistribuzione, Confcommercio, tra cui i punti vendita Coop e Conad giovedì hanno protestato abbassando le luci delle insegne. Lamentano bollette triplicate nei mesi estivi e fatture da diverse centinaia di migliaia di euro. Si tratta di costi non comprimibili per preservare gli alimenti della catena del freddo e del fresco. Il rischio, denunciano, alternativo alle chiusure, è che il lievitare del costo dell’energia porti ad interventi radicali sul costo del lavoro e a trasferirsi al consumatore, scaricandoli sui listini degli alimenti. Si parla di una forbice di almeno 2-3 punti percentuali, da qui ai prossimi mesi, che provocherebbe un’impennata ulteriore verso l’alto dell’inflazione.
3. ALLARME DA OSPEDALI, COMUNI E PROVINCE.
Il rincaro dell’energia sta rendendo ancora più difficile la già difficile attività delle strutture sanitarie in Italia. L’allarme proviene ora anche dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani e dall’Unione Province d’Italia. L’impennata delle spese potrebbe costringere a tagli dolorosi dei servizi pubblici sanitari e potrebbe estendersi ad altri servizi destinati ai cittadini. La richiesta è quella del varo di uno stanziamento straordinario di 350 milioni di euro. Ulteriori e più pressanti richieste di fondi arrivano anche dagli ospedali pubblici e addirittura privati. Un esempio tra i tanti: le spese degli ospedali di Arezzo e di Grosseto nel 2021 sono state di 14 milioni e mezzo, mentre a luglio di quest’anno erano già salite a 36 milioni, più del doppio. Ed i costi energetici da allora sono ancora aumentati. Gli unici risparmi di qualche centinaio di migliaia di euro si sono avuti riducendo l’illuminazione nei parcheggi, ma i costi di riscaldamento, di funzionamento delle macchine per le Tac, per gli impianti di radiologia, per le risonanze, la rianimazione non sono comprimibili, ma devono essere garantiti 24 ore su 24. Draghi ha già fatto sapere che non intende operare scostamenti di bilancio (cioè: aumento del deficit), attenendosi alle indicazioni delle autorità europee, mentre le spese militari per l’effetto della guerra USA-NATO in Ucraina quest’anno sono salite a 18 miliardi, contro i 16,8 dello scorso anno.
4. SPESE MILITARI.
Un miliardo e duecento milioni in più per le spese militari. Il governo Draghi lancia una serie di programmi per acquistare armamenti rivelatisi fondamentali sui campi di battaglia in Ucraina: dai sistemi per intercettare i missili balistici a quelli per abbattere i droni, dai cingolati da combattimento alle scorte strategiche di munizioni. Commesse in larghe parte richieste a multinazionali statunitensi. Più volte, del resto, Draghi ha rivendicato il suo atlantismo. Nel Documento programmatico triennale firmato dal ministro Lorenzo Guerini le spese per acquisti di nuovi strumenti bellici per il 2022 sono salite a 18 miliardi, contro i 16,8 dello scorso anno. Considerando poi anche i costi delle “missioni internazionali”, i costi lievitano a 21 miliardi e mezzo. Nelle 256 pagine del Documento si sottolinea l’esigenza di modernizzare carri armati, mezzi cingolati e artiglieria: in attesa di trovare fondi per sostituirli, si punta ad aggiornare quelli risalenti alla Guerra Fredda. Un capitolo riguarda la creazione di “riserve strategiche” di munizioni per la prospettiva di battaglie come quelle del Donbass che richiedono migliaia di colpi al giorno: entro il 2032 si vogliono comprare proiettili per oltre 2,5 miliardi.
Una novità sono le “loitering munition”, i droni kamikaze, acquistati in piccola quantità per le forze speciali. Infine un elenco di strumenti ritenuti necessari dagli Stati maggiori ma non coperti da finanziamenti. Questioni che dovrà affrontare il prossimo governo. Come se non bastasse, il 27 luglio scorso, in un’audizione al Copasir il ministro ha dichiarato che presto verrà approvato il quarto decreto per l’invio di armi all’esercito di Kiev. Le forniture sono segrete ma si ipotizza che saranno ceduti altri fuoristrada blindati Lince, mitragliatrici e munizioni. Il nodo restano le artiglierie: l’Italia ha già consegnato diversi cannoni da 155 millimetri, gli Ucraini però ne domandano di più e vorrebbero da Roma anche i lanciarazzi mobili MLRS già donati da Germania e Olanda. Trattasi di materiale che il governo Draghi, a nome dell’Italia ed in linea con le direttrici USA-NATO, regala e che poi dovrà essere rimpiazzato, pagando.
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