Golfo di Oman: attacco a petroliere. USA: “Obiettivo Iran”

A distanza di un mese il copione si ripete. Il 13 giugno, nel Golfo di Oman, in prossimità dello Stretto di Hormuz (importante via strategica attraverso la quale transitano quote enormi del traffico mondiale di petrolio), due petroliere sono state attaccate; il 12 maggio scorso, sempre nella stessa zona, era toccato a due mercantili e a due petroliere.
Anche stavolta la Casa Bianca, sostenuta dal governo israeliano e dalle petromonarchie del Golfo, ha subito puntato il dito sull’Iran. In concomitanza il Pentagono faceva circolare un video girato da un aereo militare USA, curiosamente in zona al momento dell’attacco, in cui si vede un’imbarcazione con a bordo uomini con indosso divise da Guardiani della Rivoluzione iraniani (Pasdaran), intenti a rimuovere dal fianco della petroliera giapponese Kokuka Courageous quella che sembra essere una mina magnetica inesplosa. Secondo l’amministrazione USA gli iraniani tentavano di far sparire le prove del loro coinvolgimento nell’attacco. Ma dal Giappone, a smentirla, sono giunte le parole di Yutaka Katada, l’armatore della petroliera giapponese, che ha riferito che l’equipaggio afferma di aver visto, prima dell’esplosione, degli “oggetti volanti” a mo’ di “proiettili”.

Nell’attacco di un mese fa uomini rana avevano posto delle mine navali magnetiche in prossimità della linea di galleggiamento di quattro navi, vuote, in punti particolari della loro parte strutturale in modo da non arrecare gravi danni ma di impedire il prosieguo della navigazione. Allora le annunciate prove schiaccianti sempre contro l’Iran –l’ “intelligence” israeliana si vantò di aver fornito informazioni cruciali– non furono poi mostrate. Anche allora, tramite il portavoce del ministero degli Esteri, Abbas Mousavi, Teheran respinse le accuse, chiese l’apertura di indagini e mise in guardia “l’avventurismo straniero” che mira a distruggere il trasporto marittimo nella regione.

Del resto perché, mentre era in corso a Teheran la visita di tre giorni del primo ministro giapponese, Shinzo Abe (il primo con un capo del governo di Tokyo dalla Fondazione della Repubblica islamica 40 anni fa), le autorità iraniane avrebbero dovuto dare l’ordine di attaccare le due petroliere, di cui una proprio giapponese? Abe si trovava in Iran, dove ha incontrato l’ayatollah Khamenei, per una difficile missione di pace. Il primo ministro giapponese ha invitato Teheran a proseguire la sua cooperazione con l’Aiea, Agenzia internazionale per l’energia atomica (nonostante la rottura unilaterale degli Stati Uniti, ndr) e ha assicurato che il Giappone s’impegnerà al massimo per evitare un conflitto militare. Analizzata anche la situazione in Yemen e Siria. Nella conferenza stampa congiunta con Abe a conclusione dell’incontro, il presidente iraniano Hassan Rohani ha dichiarato che “l’interesse del Giappone per continuare a comprare il petrolio dall’Iran può garantire lo sviluppo delle relazioni culturali, scientifiche ed economiche tra due Paesi”. E poi: “Abbiamo parlato anche degli eventuali investimenti del Giappone a Cabaha e Makran e questi investimenti daranno enormi contributi allo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi”.
Insomma, non è credibile che l’Iran voglia far deragliare i propri interessi e la mediazione giapponese che dovrebbe portare ad un alleggerimento delle sanzioni. Appare più credibile –e certo non da parte iraniana– un’intimidazione contro Abe ed il Giappone.

Usciti unilateralmente dall’accordo sul nucleare del 2015, gli USA hanno imposto nuove sanzioni all’Iran e bloccato l’export di petrolio, con l’obiettivo di destabilizzare il Paese sino alla sua implosione politica. Costante il lavorìo di Washington nel costruire l’immagine di un Iran che “minaccia la pace”, la “sicurezza mondiale”, i traffici internazionali e nell’aumentare la tensione nello Stretto che può innescare un’impennata delle quotazioni petrolifere.
Proprio in funzione anti-Teheran la Casa Bianca ha convocato in Polonia, il 13 e 14 febbraio scorso, un ‘bellicoso’ vertice e lo scorso 22 aprile non ha rinnovato le esenzioni concesse a otto paesi –tra cui l’Italia– per continuare a importare petrolio dall’Iran, minacciando punizioni tramite sanzioni nei confronti di chiunque avesse disatteso le sue direttive. Ancora una volta, nelle ultime ore, la missione iraniana all’ONU ha dichiarato che “la guerra economica degli Stati Uniti e il terrorismo contro il popolo iraniano, nonché la loro massiccia presenza militare nella regione sono stati e continuano ad essere le principali fonti di insicurezza e instabilità nel Golfo Persico” e che “né le invenzioni e le campagne di disinformazione, né incolpare vergognosamente gli altri possono cambiare la realtà”. Teheran è quindi tornata a chiedere “alla comunità internazionale di essere all’altezza delle sue responsabilità nel prevenire le politiche e le pratiche sconsiderate e pericolose degli USA e dei suoi alleati che aumentano le tensioni nella regione”.

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