“Un attacco che puntava a destabilizzare la vita democratica italiana”. Questo un passaggio della dichiarazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 16 marzo scorso, a quarantatré anni dal sequestro (1978) di Aldo Moro. “Attacco” di chi? Del “folle delirio brigatista”, dice Mattarella. Siamo ancora alla ritualità senz’anima (e senza effettiva verità!) del ricordo. Mettiamo giù qualche punto, alla spicciolata, della narrazione ufficiale: 55 giorni in un solo covo, in via Montalcini a Roma, dentro un bugigattolo senza finestra. Per un fumatore come Moro un rischio di morte precoce per soffocamento più che per tabagismo. Invece: un corpo abbronzato, un buon tono muscolare, salsedine marina nei polmoni, nicotina nel sangue, sabbia (e fibre di tessuto…) nei vestiti. Nel garage di quello stabile staziona la Renault rossa (la stessa nella quale sarà trovato il corpo il 9 maggio in via Caetani) ma… la saracinesca basculante non si chiude: una ‘porzione’ di macchina non entra nel garage (perizia dei carabinieri del R.I.S. nel 2017). Ancora: parlano il corpo senza vita di Moro, il suo posizionamento, la coperta priva di tutti quei 12 fori di proiettile che da lì sarebbero dovuti passare (solo due), le due concentrazioni di sangue nel portabagagli, le tracce ematiche dentro la vettura, il rinvenimento di bossoli all’interno della stessa, uno addirittura sul pianale. Questo e molto altro ancora, grazie soprattutto ai lavori d’inchiesta di Paolo Cucchiarelli, per una ricostruzione ben diversa di una vicenda di cronaca nera (geo)politica, nella quale (ancora una volta!) entra pesantemente il nostro ‘alleato’/padrone d’oltre Atlantico. Ricostruzione indispensabile per cogliere tutti i “chi”, tutti i “perché” dell’uccisione di Moro e le conseguenze che da lì si snodano all’oggi. (segue)
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Piazza Fontana, 12 dicembre 1969
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