«Putin è un killer!». Così, con disinvoltura, si è espresso poche ore fa Joe Biden, nuovo tenutario della Casa Bianca, all’emittente televisiva statunitense Abc, intervistato da George Stephanopoulos. Quindi, senza precisarne i termini, ha minacciato il presidente russo («pagherà un prezzo») per aver tentato di influenzare le elezioni presidenziali USA del 2020.
Circa un mese fa, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, Biden aveva ripetuto che «l’America è tornata, l’Alleanza Atlantica è tornata», «da Roma a Riga», per affrontare le sfide economiche e politiche globali: da un lato prepararsi «a una dura competizione strategica con la Cina», dall’altro fronteggiare la Russia di Putin che «mira a sabotare il progetto europeo, indebolire la NATO e attaccare le nostre democrazie». Con gli “alleati” i toni erano stati perentori: per la “difesa” collettiva (ha citato l’articolo 5 del Patto Atlantico) bisogna investire di più e assumere più responsabilità nei teatri operativi NATO.
Un paio di giorni prima (17 febbraio) Mario Draghi, nel suo discorso al Senato con il quale anticipava il programma e chiedeva la fiducia come presidente del Consiglio, si era sentito in dovere di indicare nell’atlantismo («ancoraggio storico dell’Italia») uno dei pilastri fondamentali del suo governo. Un richiamo insolito, perché da decenni dato –e praticato– come scontato e per questo non così perentoriamente al centro di discorsi di ‘investitura’. Evidente la volontà di assicurare i suoi ‘tradizionali’ referenti d’oltre Oceano –tanto più in questa fase, nei nuovi scenari internazionali che si stanno prefigurando– sull’essere l’Italia in scia dell’avventurismo bellicista –per ora solo verbale– di Biden. Fortuna che la NATO e l’atlantismo erano un ‘orpello decaduto’ della Guerra Fredda, un ‘fatto estetico’ senza più alcuna valenza…
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