Il testo del disegno di legge sull’autonomia differenziata è stato trasmesso alla presidenza del Consiglio e «con l’ok alla manovra di bilancio c’è il via libera anche per la costituzione della cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, su cui stiamo lavorando per renderla operativa già dal mese di gennaio». L’annuncio è del ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli. Giorni fa il ministro, in replica nell’audizione del 15 dicembre nella commissione affari costituzionali della Camera, aveva dichiarato: «Vorrei veramente essere un neurone che entra a vedere chi è che ha pensato le norme generali sull’istruzione come possono essere trasferite in maniera esclusiva alle regioni, perché il nome stesso della materia prefigurerebbe che se sono generali non dovrebbero essere oggetto di differenziazione». C’è da apprezzare e condividere. Se si concretizzasse il progetto di autonomia differenziata le norme generali passerebbero (per le regioni a statuto ordinario che dovessero farne richiesta) alla potestà legislativa esclusiva della regione. Solo che quella considerazione di Calderoli è applicabile a non poche altre materie altrettanto incompatibili con la differenziazione regionalista di matrice euro-unionista.
Se la scuola è un tema sensibile per l’identità stessa del Paese, in campo energetico non è pensabile dare risposte in chiave localistica. Sulla sanità, come la dissennata gestione della “pandemia” ha reso evidente, l’articolazione regionalista della stessa ha fallito e reso anzi evidente e necessaria un’inversione di tendenza dal privato al pubblico. Riguardo il lavoro, poi, si porrebbe una pietra tombale sul contratto collettivo nazionale, presidio fondamentale di eguaglianza tra i lavoratori, determinerà diritti diversificati sulla base del certificato di residenza, aumentando ulteriormente le già enormi diseguaglianze tra zone del Paese, contraendo ancor più gli spazi di democrazia. Così come sarebbe assurdo regionalizzare le infrastrutture strategiche di livello nazionale (ferrovie, autostrade, porti e aeroporti), che dovrebbero essere rilanciate, in un riacquisito ruolo dell’indirizzo pubblico nazionale, per politiche volte a superare i divari territoriali. E si potrebbe continuare su altri ambiti.
L’art. 143 della legge di bilancio, tra cabina di regia, dpcm ed eventuale commissario, emargina pressoché totalmente il parlamento. In più, con un emendamento (un art. 143 bis) si introduce una segreteria tecnica della cabina di regia che non fa che rafforzare quel disegno originario.
Calderoli ha inserito la procedura per determinare i Lep (Livelli Essenziali di Prestazione) nell’art.143 della Legge di Bilancio, affidandola – in una visione proprietaria e lontana dalla democrazia costituzionale – ad una commissione governativa che in soli 6 mesi dovrebbe definirli (quello che peraltro non si è fatto in 22 anni) e di cui almeno da 13 anni (dal tempo della legge 42 del 2009) si parla, non facendo alcunché. Un tempo record, quindi, trascorso il quale la palla passerà in mano ad un commissario. Del Parlamento nessuna traccia, dei Comuni nessuna traccia, le Regioni chiamate solo attraverso la Conferenza, mentre la cittadinanza continua ad essere ignara. Non devono e non possono esistere Livelli Essenziali di Prestazione, ma solo Livelli Uniformi di Prestazione, perché sono garantiti e scritti nel c. 2 dell’art 3 della Carta. In un colpo solo (in un Paese messo in ginocchio dall’1-2 pandemia-guerra) si cancelleranno i principi di uguaglianza e di solidarietà, il principio di autonomia sancito dall’art 5 della Costituzione e nel quale –a nostro avviso– risiede il fondamento di illegittimità costituzionale dell’art 116 c.3, così come uscito dalla Riforma del Titolo V del 2001 che sfigura il volto del nostro sistema istituzionale, la partecipazione e la democrazia, contribuendo e legittimando a dismisura il divario già esistente tra Nord e Sud, tra territorio e territorio e le enormi diseguaglianze. Con l’autonomia differenziata, l’unità della Repubblica rimarrà solo un enunciato formale.
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