Tesi su intervento pubblico e modello economico

XI ASSEMBLEA. TESI DI “INDIPENDENZA”

SU

“INTERVENTO PUBBLICO E MODELLO ECONOMICO”

Affermare il ruolo e il controllo pubblico dei settori strategici dell’economia demandando alle dinamiche capitalistiche la produzione, l’approvvigionamento e l’organizzazione di quanto appunto non sia ‘strategico’, è per Indipendenza un approccio da criticare per molteplici ragioni. Qui ne segnaliamo due: non è possibile sapere in astratto cosa sia o diventi ‘strategico’ ed è limitante precludere all’intervento pubblico iniziative in comparti centrali e ineludibili, come l’agroalimentare e la correlata industria di trasformazione, la distribuzione al dettaglio di merci, la logistica, i comparti pressoché integralmente demandati alle importazioni (elettronica di consumo, farmaci, abbigliamento…) e alla mercé di operatori spesso multinazionali.

Come non esiste un intervento pubblico buono in sé, altrettanto non è possibile bollare ogni iniziativa privata come esecrabile in sé: in una società rinnovata e trasformata, comparti come la microimpresa, l’artigianato, la coltivazione diretta, la struttura cooperativa e mutualistica possono costituire un fondamentale ancoraggio nel percorso di sganciamento dall’ortodossia neoliberista ora egemone.

In altri termini non esistono comparti strutturalmente privati.

Indipendenza intende quindi riaffermare

1. la centralità della nozione di ‘economia mista’ con l’impresa pubblica come elemento trainante e qualificante, non più come supplenza ancillare alle ‘crisi’ quale meccanismo di gestione delle perdite;

2. l’attenzione all’iniziativa economica privata il cui baricentro sia posto su ben precisi cardini organizzativi e strategici: rispetto per l’ambiente e il lavoro, accorciamento della filiera produttiva, delle catene del valore e di approvvigionamento, rifiuto della monocultura (si pensi al turismo nelle città d’arte) e contestuale sviluppo della diversificazione delle attività e della matrice industriale, sostegno a forme mutualistiche e cooperative fra imprese (distretti, reti di imprese), trasmissione e preservazione dei saperi e delle arti.

La nostra idea di economia circolare riguarda quindi non solo la prospettiva di non creare possibilmente rifiuti al termine del ciclo di vita utile dei beni, quanto anche l’idea di sviluppare filiere in grado di soddisfare il necessario rinnovamento dopo decenni di stagnazione e depressione: dall’efficienza energetica degli edifici, a traghetti più efficienti per collegare le isole, passando per i mezzi pubblici per le nostre città e la rete ferroviaria in particolare regionale, fino al ripensamento infrastrutturale e costruttivo delle opere pubbliche (reti idriche, fognarie e di depurazione…). Potenzialmente infiniti sono gli ambiti nei quali intervenire e sviluppare possibilità di lavoro pulito e legale.

I. Partecipazioni statali e Istituto per la Ricostruzione Industriale.

Un bilancio critico

Prospettare un modello di economia mista senza un bilancio critico sul passato sarebbe un grave errore prospettico: premettendo che il sistema delle partecipazioni statali e dell’impresa pubblica è stato oggetto di una campagna mediatica, culturale e propagandistica che non si esita a definire iconoclasta, criticità si sono oggettivamente manifestate. La prima e principale è che non c’è mai stata una vera e propria proprietà pubblica quanto una proprietà privata dei partiti di governo con relative dinamiche di lottizzazione, malversazione e spartizione clientelare. Se dunque è ridicolo pensare di riproporre un modello dov’era, com’era, altrettanto non vanno sottaciute le responsabilità di una classe dirigente che prima ha contribuito al naufragio di molte imprese pubbliche e poi è stata cooptata e ricompensata a vario titolo dai nuovi proprietari in esito alle privatizzazioni.

Altro profilo su cui richiamare l’attenzione, nel quadro del bilancio critico che Indipendenza compie sull’esperienza della Prima Repubblica, è che le privatizzazioni non sono affatto iniziate con gli anni Novanta bensì oltre un decennio prima, con il primo grande ciclo di dismissioni dell’IRI, la capogruppo pubblica cui facevano capo. Stiamo parlando di Cementir, SME (agroalimentare), Lanerossi e Alfa Romeo oltre ad altre controllate di secondo livello. Ciò per ribadire che le basi del disastro attuale sono state congegnate, costruite, impostate e avviate proprio nella Prima Repubblica non da ultimo con l’inerzia, quando non l’attivo sostegno, delle forze della sinistra (PCI e PSI su tutti) adeguatesi alla marea montante liberista e alle coordinate fondamentali dell’atlantismo (“ombrello NATO”, sic!) e del federalismo europeo.

Il sigillo sulla liquidazione dell’industria pubblica è stato poi posto con gli accordi (1993) Andreatta/Van Miert, rispettivamente ministro del Tesoro e commissario europeo alla Concorrenza, tramite i quali si è scientemente programmato il più vasto e articolato programma di privatizzazioni mai attuato in un Paese dell’occidente europeo, paragonabile solo a quello di Margaret Thatcher, al di fuori di qualsiasi dibattito democratico financo formale. Accanto al divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro, che vide protagonista lo stesso Andreatta, è sicuramente lo snodo di politica economica più rilevante dell’ultimo quarto del ventesimo secolo, nella prospettiva di consegnare mani e piedi il Paese all’integrazione monetaria europea.

Riteniamo che gli snodi irrinunciabili per un riorientamento del sistema economico siano da un lato l’impresa pubblica nei tratti qui circostanziati ed il controllo pubblico sul movimento dei capitali e dei tassi di interesse tanto sul debito pubblico che su quello privato (cosiddetta repressione finanziaria). Certamente tali leve, che devono essere inserite in una rinnovata politica doganale, commerciale e fiscale, sul piano delle trasformazioni di paradigma sono imprescindibili.

II. Per riorientare l’economia, partire dalla Costituzione

Riflettere sulla costruzione materiale di un’alternativa, guardando al modello economico-sociale della Costituzione come orizzonte ancor oggi in grado di unificare e rappresentare una fetta largamente maggioritaria della società italiana, è un fatto imprescindibile. Tali principi vanno tuttavia attualizzati e attuati, ovviamente rifiutando in premessa l’ordinamento eurounitario. Indipendenza ritiene necessario intervenire sul tema dell’autogestione e della partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese e delle organizzazioni economiche mediante strumenti legislativi e interventi diretti che consentano ai lavoratori di essere parte attiva su basi democratiche nelle scelte strategiche e organizzative, sia nelle unità produttive che negli enti locali attraverso le camere del lavoro: partendo dalle imprese pubbliche, dalle società partecipate e dalle società prestatrici di servizi per le amministrazioni pubbliche a ogni livello, tale modello dovrà essere progressivamente esteso a tutte le organizzazioni aziendali. Pertanto occorre:

1. prevedere la presenza di lavoratori eletti nei consigli di amministrazione e in tutti gli organi collegiali direttivi, favorire l’azionariato dei dipendenti nelle imprese, prevedere fattivi e concreti strumenti per il recupero e la riconversione delle imprese da parte delle maestranze;

2. accanto e oltre alle nazionalizzazioni dirette, sviluppare forme di autogestione e controllo pubblico nei casi di imprese confiscate alle mafie e alla criminalità, procedure fallimentari e concorsuali, amministrazioni giudiziarie, commissariali e straordinarie, enti destinatari di sanzioni per responsabilità degli enti da reato ex D.Lgs. 231/2001 mediante strumenti di incentivo e supporto creditizio, consulenziale (in collaborazione con apposite strutture da istituirsi presso gli ordini professionali di commercialisti, avvocati e notai) agli enti locali e alle cooperative di lavoratori nella prospettiva di organizzare ‘cordate mutualistiche’ e operazioni di conversione produttiva puntando alla preservazione dell’avviamento aziendale e del tessuto industriale ridefinito su basi di democrazia economica;

3. nel quadro della funzione rieducativa della pena, sviluppare programmi di inserimento e qualificazione lavorativa a tutti i soggetti sottoposti a detenzione o a misure restrittive della libertà personale, nella prospettiva di prevenzione della recidiva, offrendo una prospettiva di sostentamento legale per il fine pena. Organizzare il lavoro legale, sicuro e retribuito nelle carceri, direzionandolo alla soddisfazione di bisogni collettivi, dovrà essere una priorità mediante la creazione di un apposito organo di coordinamento permanente fra i ministeri del Lavoro, dell’Economia, dell’Industria e della Giustizia;

4. contrastare il latifondo agricolo e urbano, ovverosia la concentrazione in condizioni pressoché di abbandono di aree coltivabili, abitazioni e fabbricati;

5. nella prospettiva di garantire e favorire la proprietà della casa d’abitazione, in condizioni di accesso eque, contrastare con lo strumento fiscale e l’esproprio, ove necessario, l’abbandono delle aree e complessi immobiliari dismessi e non bonificati mediante loro riconversione a uso produttivo o abitativo, contrastando così anche il consumo di suolo vergine e la cementificazione;

6. gestire in modo efficiente e produttivo le confische da reato, tanto per i reati comuni che per quelli di stampo mafioso, garantendo la reimmissione rapida di tali beni nella disponibilità della collettività mediante apposite deleghe e assessorati permanenti dei comuni incaricati di individuare e controllare i soggetti beneficiari e destinatari nonché i progetti economici e sociali da sviluppare;

7. accanto alla partecipazione dei lavoratori, sviluppare quella di utenti, cittadini e associazioni mediante lo sviluppo dell’azionariato popolare con garanzia pubblica con finalità non speculativa, limitazione alle soglie di sottoscrizione di capitale e alla loro circolazione in mercati regolamentati con la funzione di tutela del risparmio e finanziamento mutualistico delle imprese pubbliche o nazionalizzate;

8. fatta salva la maggioranza pubblica nelle imprese dei comparti bancario, assicurativo, delle telecomunicazioni, della manifattura, laddove organizzate nella forma della società di capitali dovrà essere limitata o esclusa la partecipazione di fondi speculativi e investitori istituzionali, garantendo invece la sottoscrizione del capitale a favore dei piccoli risparmiatori diretti e strumenti elettivi e partecipativi specificamente progettati a loro favore;

9. si renderà necessario ampliare il catalogo dei reati presupposto per la responsabilità degli enti da reato ma, soprattutto, prevedere la sanzione della nazionalizzazione come prospettiva sanzionatoria per i casi più gravi.

III. Pubblico, privato, comune: quali prospettive

per un che fare politico e organizzativo

Assumendo la centralità dello Stato nazionale come struttura attorno alla quale organizzare l’emancipazione sociale, riteniamo utili le forme di organizzazione economica di natura mutualistica, cooperativa così come gli assetti proprietari che puntino a superare lo strapotere del capitale sovranazionale. Il modello di riferimento, tuttavia, è e resta quello della proprietà pubblica di cespiti, imprese, infrastrutture, aziende, opifici e complessi industriali organizzata su basi partecipative e democratiche. Data tale cornice, gli assetti gestionali possono senz’altro essere devoluti a corpi intermedi e organizzazioni sovraindividuali su base decentrata, mediante meccanismi di controllo sia istituzionali che partecipativo-collettivi.

Tali principi possono declinarsi nei più svariati ambiti: dal credito con il rilancio di crediti cooperativi e casse rurali, alla produzione energetica con lo sviluppo di comunità energetiche basate sulle fonti rinnovabili fino allo sviluppo del turismo lento mediante cooperative o gruppi di acquisto di terreni per il recupero di borghi e località abbandonate, nonché con la municipalizzazione degli stabilimenti balneari affidati a cooperative di lavoratori da affiancare alla tutela delle concessioni di piccole imprese o a conduzione familiare, previ accertamenti da parte dello Stato delle singole situazioni.

Occorre prestare grande attenzione alla retorica dei ‘beni comuni’ anzitutto perché essa spesso maschera una pregiudiziale antistatale del tutto inaccettabile, fornendo nei fatti una sponda alle frange del capitalismo che, pur di preservarne la struttura di fondo, prefigurano un’accentuazione delle dinamiche privatistiche.

Non vi è dubbio che vi siano risorse materiali e immateriali (aria pulita, acqua marina e potabile, energia solare, suolo fertile, ricerca scientifica e tecnologica, paesaggio, beni culturali e architettonici…) che debbono essere fruibili e al servizio della collettività umana nel suo insieme; altrettanto, però, va riaffermata la potestà normativa e legislativa dello Stato su tali ambiti.

Fatte tali premesse di cornice, specifici ambiti già oggetto di usi civici (diritti di pascolo, legnatico, valli di pesca, appezzamenti pubblici a uso agricolo…) potranno essere oggetto di specifici interventi per la loro tutela e fruizione collettiva nel rispetto della preservazione degli specifici equilibri ambientali e rigenerativi. Non di rado, su tali ambiti, si concentrano rendite parassitarie e depauperamento del patrimonio collettivo che dovranno essere combattute proprio con un intervento pubblico diretto: valga in questo senso il solo esempio dell’industria di imbottigliamento dell’acqua minerale che corrisponde dei diritti (royalties) ridicoli se non puramente simbolici agli enti pubblici, immettendo nel mercato enormi quantità di plastica usa e getta che poi la stessa collettività deve farsi carico di gestire, smaltire e trattare.

Un riorientamento del modello economico che combatta la plastica usa e getta, ponga fine al saccheggio del nostro enorme patrimonio di acque minerali e termali, contrasti le multinazionali che controllano tale mercato, non potrà che passare attraverso un intervento gestito dallo Stato; diversamente, qualsiasi proclama sui ‘beni comuni’ e sull’affrancamento dalla plastica non resterà che un auspicio per anime belle.

IV. Evoluzione tecnologica e modello economico

Pur rifiutando qualsiasi feticismo verso la tecnologia e anzi riaffermando la centralità di prodotti di massa progettati per essere parte di un processo di economia circolare, riparabili e capaci di soddisfare i bisogni della quotidianità, occorre prendere atto della necessità di governare politicamente anche l’ambito delle infrastrutture e apparecchiature tecnologiche; non solo quindi le telecomunicazioni, ma anche i centri di archiviazione dei dati, i server, le infrastrutture informatiche di interesse nazionale dovranno essere sviluppate in maniera autonoma o comunque su concessione negoziata dall’autorità pubblica, così come dovranno essere regolamentate le attività economiche promosse dal cosiddetto ‘capitalismo delle piattaforme’ (commercio elettronico, logistica, locazioni turistiche…) con divieti ed espropri laddove queste si scontrino con l’ordine pubblico economico. Pertanto:

1. Tutti gli operatori economici che vorranno aprire sedi, stabilimenti e filiali in Italia dovranno qui avere una sede legale e fiscale: i rapporti con la capogruppo estera dovranno essere oggetto di apposita autorizzazione ministeriale che appuri il rispetto dei principi fiscali e legali del diritto italiano. Alle imprese a partecipazione pubblica sarà vietato operare direttamente o indirettamente attraverso società collocate in Paesi a fiscalità privilegiata.

2. In tale quadro si inserisce la centralità del servizio pubblico radiotelevisivo, tanto come impresa culturale impegnata nella creazione di un quadro valoriale di riferimento per la collettività, quanto in riferimento ai risvolti economici e occupazionali che il mondo dei media traina: la vendita di spazi pubblicitari dovrà essere segmentata e resa più costosa per imprese e comparti che si intendono penalizzare in un’ottica di modello (multinazionali in primis).

3. Dovranno essere digitalizzati e resi fruibili gli archivi audiovisivi della RAI, nonché create piattaforme cinematografiche pubbliche a domanda.

4. Dovranno essere introdotti nell’ordinamento appositi strumenti di tutela processuale ed extraprocessuale attivabili da tutti gli utenti (singoli cittadini e imprese) nei confronti delle piattaforme della rete internet, per garantire che la fruizione di tali strumenti sia compiuta nell’alveo del rispetto delle garanzie dei fondamentali diritti di cittadinanza e costituzionali, non da ultimo quello alla libera iniziativa economica, punendo i comportamenti penalizzanti in termini di visibilità e indicizzazione compiuti a danno delle piccole-microimprese e a favore degli operatori multinazionali.

V. Il quadro istituzionale

Al fine di dare attuazione a tale prospettiva dovranno essere previsti appositi ministeri destinati a occuparsi di conversione produttiva e programmazione, nazionalizzazioni, amministrazione delle imprese confiscate e amministrazione delle imprese pubbliche.

1. Un’apposita direzione generale si occuperà della cooperazione commerciale e istituzionale con i Paesi non allineati e all’approvvigionamento preferenziale di risorse e beni da importarsi da Paesi politicamente affini o con i quali sussistono particolari legami in termini di schieramento geopolitico.

2. Dovranno essere sciolte, con acquisizione al patrimonio dei ministeri competenti, le autorità indipendenti, emanazione diretta delle linee d’indirizzo mercatiste di derivazione eurounitaria (Garante Concorrenza, Energia Elettrica e Gas, Vigilanza sulle Assicurazioni, Privacy etc…) con integrale internalizzazione delle funzioni a strutture pubbliche.

3. Occorre riformare, valorizzare e attribuire effettività di funzioni al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), da considerarsi una vera e propria terza camera di studio, confronto ed elaborazione normativa sia di primo che di secondo livello (regolamenti, protocolli, accordi collettivi) nelle materie di competenza in grado di garantire un confronto fattivo e leale fra le categorie economiche, sociali e i corpi intermedi (sindacati, associazioni datoriali, associazioni di categoria etc…).

4. La Cassa Depositi e Prestiti dovrà diventare strumento per la raccolta del risparmio popolare da indirizzare e allocare secondo rigidi criteri di riconversione economico-ambientale, tutela del lavoro, democrazia economica e sostegno all’innovazione e alla ricerca applicata.

5. Occorrerà avviare un censimento delle privatizzazioni e dismissioni affidato ad apposito commissariato incaricato di relazionare periodicamente ai ministeri competenti e al parlamento, finalizzato a ricostruire a ritroso di almeno trentacinque anni le privatizzazioni di primo e secondo livello, le alienazioni, le dismissioni di cespiti pubblici, imprese, immobili, partecipazioni a ogni livello di governo (Stato, regioni, comuni, municipalizzate, consorzi pubblici, enti pubblici economici e non, federazioni sportive, Agenzie, amministrazioni autonome etc…) relazionando sull’interesse pubblico eventualmente sussistente a una rinazionalizzazione, sugli strumenti eventualmente attivabili per esercizio di diritti di opzione, prelazione e riacquisizione, sulle azioni esperibili nei confronti degli amministratori pubblici e privati per perseguire gli eventuali danni e malversazioni compiuti nei confronti della collettività (azioni di responsabilità, conflitti di interesse etc…).

6. Occorrerà istituire una commissione parlamentare permanente sulle privatizzazioni, alienazioni e dismissioni nonché una Procura Nazionale, sul modello di quella antimafia, incaricata e specializzata nel perseguire il crimine economico, gli incidenti sul lavoro e il caporalato, l’evasione contributiva e l’elusione fiscale in particolare per i grandi operatori economici, i danni derivanti dalle privatizzazioni con appositi nuclei investigativi della polizia giudiziaria (Guardia di Finanza in primis).

7. Andranno sviluppate e inglobate imprese e organizzazioni per la gestione dei servizi e lavori pubblici in economia, respingendo il meccanismo della gara e consentendo così il risparmio di spese di aggiudicazione, pubblicità, lobbying, garanzie contro fallimenti e procedure concorsuali che hanno portato a un vero e proprio cimitero di opere incompiute ad ogni latitudine.

8. Accanto alla partecipazione dei lavoratori nella gestione, utenti e associazioni portatrici di interessi specifici dovranno avere voce in capitolo mediante appositi statuti partecipativi che contemplino l’accesso alla contabilità, al controllo di entrate e spese, ai criteri di scelta per consulenze e assunzioni e, più in generale, ad ogni aspetto relativo alla gestione con specifici poteri ispettivi.

9. Soppressione delle “agenzie di rating” operanti in Italia.

Indipendenza

(XI Assemblea, Roma, 8 ottobre 2022)

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