I tassi della BCE e la guerra in Ucraina

La Banca Centrale Europea (BCE), su pressioni di Paesi del ‘Fronte del Nord europeo’, ha alzato i tassi d’interesse dello 0.75%, facendo così salire il tasso principale a 1.25%. Nella relativa nota vien detto che «nei prossimi incontri [ottobre, dicembre, febbraio, marzo, maggio, ndr] il consiglio direttivo si aspetta di alzare ancora i tassi per smorzare la domanda e proteggere dal rischio di una persistente revisione al rialzo delle aspettative dell’inflazione». Quante altre riunioni ci vorranno? «Probabilmente più di due, ma magari meno di cinque», ha risposto la Lagarde. Indebitarsi costerà quindi di più. Aprire un mutuo comporterà interessi maggiori. Chiedere un prestito sarà più oneroso. Più in generale la risposta neo-liberale della BCE («smorzare la domanda»), suppostamente per far calare i prezzi, punta a deprimere consumi e investimenti, in un contesto di salari e stipendi reali già falcidiati. Ci sarà insomma meno reddito da spendere per consumi e nuovi investimenti, con effetti significativi sulle rate dei mutui e di tutti i finanziamenti a tasso variabile.

La BCE giustifica il rialzo con il contrasto ad una spirale che teme iper-inflattiva. Tradotto: ammesso e a nostro avviso non concesso che quella sia così scongiurata –il preannuncio di ulteriori rialzi, già a breve, la dice lunga…– la BCE ha deciso di entrare ufficialmente in fase recessiva mentre quella reale, già in essere in diffusi strati di società, si aggrava. Si è così allineata alla Federal Reserve statunitense mostrando in tal modo di non valutare che le conseguenze saranno più pesanti, pur a diversa incidenza, nei Paesi della UE e meno (almeno nel breve periodo) negli Stati Uniti. C’è da aspettarsi quindi che, ben più devastante, si produrrà una combinazione di entrambe, cioè la stagflazione. Si tratta di una mazzata che impatterà su un contesto sociale, quello italiano, in spirale recessiva non solo dopo due anni di dissennata gestione sanitaria con relative conseguenze economiche, ma in sofferenza già da prima, dopo anni di politiche austeritarie prescritte dalle istituzioni europee.

Il rialzo dei tassi della BCE è ‘un’ effetto –non l’unico, quindi– dello scontro epocale tra USA e Russia che è la causa scatenante di fondo del conflitto in corso con epicentro l’Ucraina. Washington ha ‘costruito’ negli anni la guerra, trasformando l’Ucraina in un Paese ‘contractor’, prima tramite il colpo di Stato euro-atlantico del 2014, poi con la sua supervisione sul regime politico a Kiev di cui l’attuale è succedaneo. L’amministrazione Biden, dal gennaio 2021, ha quindi operato per il precipitare militare degli eventi. Lo ha fatto ritenendo di piegare facilmente e in breve tempo la Russia –prima ancora che dissanguandola sul campo di battaglia– con un sistema a tutto campo di sanzioni talmente pervasivo da spaccare la società russa e far implodere l’attuale dirigenza al Cremlino. Finora questo non è avvenuto. Si è invece innescata una spirale progressiva da collasso delle economie ‘europee’ e il coagularsi di un’area geopolitica molto vasta che collega ancor più robustamente la Russia con il più temuto (dagli Stati Uniti) e suo crescente ‘competitor’, la Cina, e a diverso livello con la quasi totalità del resto del mondo (in Asia, in Africa, in America Latina): Paesi sia non allineati, sia in via di sganciamento dal sempre più circoscritto blocco euro-atlantico.

Nel ‘mirino’ della Casa Bianca ora ci sono Paesi di un ‘calibro’ diverso da quelli del trascorso trentennio (1992-2022): quindi, non Jugoslavia, Somalia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, eccetera, ma Stati ben più ‘centrali’ e potenti come Russia e Cina. Intanto loro, ma non sono i soli.

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