“Avviare negoziati prima che si creino rivolte e tensioni che non sarà facile superare”. È il parere di Henry Kissinger, il 98enne ex segretario di Stato USA, che al Forum di Davos ha invitato da un lato l’Occidente a non cercare di infliggere una sconfitta alla Russia, dall’altro l’Ucraina a rinunciare a qualche territorio per la pace. Da sempre “un falco” della politica estera statunitense, le parole di Kissinger sono sintomatiche che in Ucraina, nella politica aggressiva dell’amministrazione Biden, le cose non stiano andando come ci si aspettava.
C’è da dire che lo stesso, sin dal 2014, si è posto criticamente sull’azione golpista a Kiev voluta da Washington. In queste ultime settimane le parole dell’ex segretario di Stato si stanno facendo più preoccupate. Kissinger ha ricordato come la Russia sia parte dell’Europa e che sarebbe un “errore fatale” dimenticare la posizione di forza che occupa nel Vecchio continente da secoli e che l’Occidente non deve perdere di vista il rapporto di lungo termine con Mosca, pena un’alleanza permanente e sempre più forte di quest’ultima con la Cina.
Viceversa per Soros, che ha incoronato Draghi come “leader” per il progetto di un’Europa federale (ha “l’iniziativa, l’immaginazione, l’alta reputazione” necessarie anche per il braccio di ferro con Mosca), “occorre sconfiggere Putin il prima possibile”. L’Europa, detenendo i gasdotti, ha una posizione di forza sulla Russia ed “è urgente che si prepari a usare il suo potere negoziale”, anticipare al massimo i preparativi per rendersi indipendente dalla Russia, prima della prossima stagione fredda, impedendo a Putin di chiudere i rubinetti finché tale mossa può fare ancora male. A quel punto, imporre una pesante tassa sulle importazioni di gas, in modo che il prezzo al consumo non scenda, ma la UE guadagni un gettito “per sostenere i poveri e investire in energia verde”.
Queste cose il magnate atlantico George Soros le ha dette nell’usuale appuntamento con i giornalisti a margine del Forum economico mondiale di Davos, citando i piani federalisti di Enrico Letta, l’appoggio fornito da Mario Draghi “più coraggioso di Scholz sul gas russo”, l’apertura all’allargamento ai Paesi balcanici e alla Moldavia del presidente Macron.
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