I malumori e le preoccupazioni dell’atlantico Giorgio Battisti

Il compromesso Draghi-Conte sull’innalzamento al 2% del PIL per le spese militari –non più entro il 2024 ma entro il 2028– ha suscitato malumori. Se n’è fatto interprete il generale di Corpo d’Armata in riserva Giorgio Battisti, presidente del Dipartimento militare del Comitato Atlantico italiano.

Trattasi tutte e tre di personaggi che rivendicano la propria internità all’euroatlantismo, ma ragioni di opportunismo politico del M5S in caduta libera di consensi e la prospettiva, l’anno prossimo, delle elezioni politiche, hanno indotto il suo presidente, Giuseppe Conte, ad una presa di posizione ‘cattura voti’: diluire i tempi del riarmo perché le risorse siano prioritariamente destinate –Conte dixit– ai «cittadini che in questi giorni devono scegliere se fare la spesa o pagare il gas e la luce», con in più la furbizia politica di presentarsi come voce di rilancio delle parole dell’attuale tenutario del soglio di Pietro: «Ha ragione Papa Francesco, rischiamo di togliere ancora una volta fondi “a chi manca del necessario”».

All’Adnkronos (31 marzo) il generale Battisti evoca le «conseguenze tecnico-militari e diplomatiche e di politica internazionale» di questa «diatriba politica». La sua esclusiva preoccupazione è che siano state minate «l’affidabilità e la credibilità dell’Italia sia a livello dell’Alleanza Atlantica sia a livello dell’Unione Europea», visti gli impegni di arrivare al 2% del PIL per le forze armate presi al vertice NATO in Galles nel 2014 (non molti mesi dopo il colpo di Stato di Euro-Maidan, con regìa statunitense, in Ucraina).

Si mostra del tutto indifferente alla crisi energetica che, senza precedenti nella storia repubblicana, sta per abbattersi sull’Italia con conseguenze imprevedibili sul sistema produttivo, sui consumi, su settori delicatissimi come sanità, scuola, trasporto pubblico locale, eccetera, e in definitiva sulla tenuta sociale di un numero enorme di famiglie destinate ad ingrossare il novero di quelle già in stato di povertà.

Dalle parole di Battisti emerge la sua preoccupazione (uno) che rischi di saltare la candidatura italiana per il prossimo segretario generale della NATO nel 2023 (ormai in ombra il nome di Renzi, in ascesa sono quelli di Letta, Draghi, ndr); (due) che l’Italia, indicata dall’Ucraina come uno dei Paesi «garanti del cessate il fuoco», sia esclusa dalla possibilità di calcare con gli anfibi il territorio ucraino (ma USA-NATO non se ne priveranno quantunque la sua funzione militare sia di complemento); (tre) che l’Italia non abbia la «capacità di proiezione oltre i confini nazionali», che non abbia «forze di assetti navali che possano proiettarsi anche nell’Indopacifico, che è uno degli obiettivi ancorché secondario dell’Alleanza Atlantica».

Questo ci dice che, in linea con la funzione aggressiva e guerrafondaia per cui fu concepita nel 1949, la NATO vuole trascinare l’Italia nella scia delle ambizioni di riaffermazione imperiale degli USA che, in prospettiva, non escludono anche un confronto militare contro la Cina (quello contro la Russia è in via di sviluppo) per il quale Washington da tempo si sta preparando.

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