Toh!, rispunta il MES

“Un amichevole promemoria”. In tali termini, filtrata alla stampa da Bruxelles, è stata presentata la convocazione lunedì scorso, da parte dell’Eurogruppo, del ministro dell’Economia, Daniele Franco. Motivo? Chiarimenti sul ritardo nella firma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) a fronte dell’impegno del governo Draghi entro il 2021. Un modo per attenuare una percezione pubblica prevedibilmente sgradevole sulla convocazione, nonostante al tema fosse data dai grandi mezzi di comunicazione un’attenzione molto fugace e distratta.

Nulla è dato sapere sull’esito dell’incontro. Il tema, politicamente divisivo per la tenuta del governo, sarà riproposto dopo l’elezione del Presidente della Repubblica. Non si è voluto porlo come pietra d’inciampo sulla strada altamente probabile, ma non scontata, di Draghi al Quirinale. Si è saggiato il terreno in vista del nuovo governo, dopo le dimissioni di rito.

Nella partita che si aprirà, con Draghi in regìa ovunque sarà (Palazzo Chigi o Quirinale), il ruolo dell’Italia sarà atlantico: nell’intesa con la Francia (“Trattato del Quirinale”, per non definirlo dell’Eliseo), è in corso una delicata partita di contenimento della Germania e c’è l’interesse USA a far saltare l’intesa (Trattato di Aquisgrana) tra Parigi e Berlino.

La posta in gioco del MES è enorme. La sua ratifica è funzionale per l’unione bancaria europea e serve per allocare l’ingente debito pubblico cresciuto nell’attivo della BCE in conseguenza della crisi pandemica. Solo per l’Italia si stima un ammontare di 720 miliardi, peraltro solo una buona quota dei suoi titoli pubblici in circolazione. La BCE, per non incorrere in una violazione dei Trattati, non li può detenere, e quindi dovrebbe venderli. Il MES, a quote annuali, potrebbe acquistarli e rinnovarli alla scadenza in perpetuo.

Ora, Paesi non in regola con l’austeritario Patto di Stabilità (come l’Italia che ancora non ha saldato il versamento della quota, oltre 100 miliardi di euro), una volta che il MES sia investito di più potenti strumenti e di un mandato più cogente con le “rigorose condizionalità”, dovranno ubbidire alle induzioni austeritarie sulle politiche di bilancio, economiche e finanziarie se vorranno accedere ad una qualche linea di credito.

Il precedente più inquietante è la Grecia del Memorandum da lacrime e sangue: tagli alla spesa pubblica, aumenti di tasse, contenimenti salariali, precarizzazione del lavoro in cambio di quote di prestito. Una disubbidienza, quindi, comporterebbe lasciare il Paese in balìa di una ancor più feroce speculazione finanziaria, salvo che non avesse il coraggio di rompere con il combinato UE-euro.

Insieme al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) il MES, con il prevedibile programma di aggiustamento macroeconomico che imporrebbe all’Italia, si configura come completamento di una formidabile tenaglia eversiva dell’unità della Repubblica e di quel che resta della sua sovranità nazionale e dei diritti sociali.

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