Trattato ‘del Quirinale’…o ‘dell’Eliseo’?

Il Trattato cosiddetto “del Quirinale” firmato con la Francia ha visto come attori, per l’Italia, Mattarella e, con il suo ‘cerchio magico’, soprattutto Draghi.

Il Parlamento italiano è stato ignorato, men che meno informato sulle linee d’indirizzo e i diversi passaggi negoziali, quindi non messo in condizioni di poterne almeno dibattere le implicazioni.

Il tutto favorito dal fatto che l’attenzione è larghissimamente tutta catalizzata –ed esasperata– dall’esecutivo Draghi e dagli apparati massmediatici dominanti sul Green Pass, ora anche nella variante Super.

A ridosso della firma, pochi articoli di giornali, per lo più plaudenti alle “opportunità” colte dal duo Draghi-Mattarella, salvo non poter dir nulla nel merito perché ignoto il contenuto.

Quel che era dato sapere come linee guida piuttosto vaghe proveniva solo “dall’Eliseo”, cioè dalla parte francese, con il relativo copia-incolla: “favorirà la convergenza delle posizioni francesi e italiane, così come il coordinamento fra i due Paesi per la politica europea ed estera, per la sicurezza e la difesa, per la politica migratoria e per quella economica, ma anche per i settori dell’istruzione, della ricerca, della cultura e per la cooperazione transfrontaliera”.

Ora, a Trattato firmato , vediamo un preambolo, 12 articoli e le linee organizzative per rendere operativi gli accordi che, nella loro indicazione, sono d’indirizzo generale e diverse, leggibili –nelle prospettive e in linea con gli interessi in gioco– le implicazioni, se si conoscono fatti&misfatti pregressi e in corso.

Qualche considerazione. Dal duo Draghi-Mattarella alla plaudente compagnia di giro massmediatica fino ad oggi sono venuti fiumi di retorica sulla costruzione europeista.

Curioso che si stia procedendo lungo binari tradizionali propri di Stati sovrani. Questa notazione ‘estetica’, ai nostri occhi l’unica interessante, non ci impedisce di vedere la gravità del passaggio politico.

In primis il fatto che esso sia frutto di un decisionismo autocratico che concepisce il Parlamento come organo di ratifica (di direttive UE, NATO, di Trattati internazionali, con ricadute a tutto campo nella società italiana).

Di là dalla profonda ‘disistima’ politica delle forze che lo popolano, il ‘vulnus’ inferto (l’ennesimo) è gravissimo. In secondo luogo, questo Trattato di “cooperazione rafforzata”, riecheggiante nella forma bilaterale quello franco-tedesco di Aquisgrana (2019) che ha definito il direttorio che conta nell’Unione Europea, è da leggere, a nostro avviso, come terreno di convergenza tattica e al tempo stesso di confliggenza di prospettiva tra gli interessi francesi e quelli statunitensi, di cui l’attuale dirigenza italofona (esecutivo Draghi e presidenza Mattarella) è parte ancillare ancor più zelante dei precedenti esecutivi (vedasi ad es. il ddl “Concorrenza”).

Dal punto di vista della Francia per rafforzare il proprio posizionamento nell’Unione Europea, l’Italia serve sia nei suoi rapporti di riequilibratura con la Germania negli scenari post-Covid (scongiurando la prospettiva del ritorno austeritario sgradito al suo interno per il profondo malessere e divisioni sociali tanto più ora che in Germania si apre una nuova era politica post-Merkel) sia nei rapporti con gli Stati Uniti (si veda il significato della crisi Parigi-Washington sul Trattato Aukus) anche in relazione ai ‘nodi’ Russia, Cina e, di recente, Turchia.

Non è da dimenticare che Draghi, in Francia, non è mal visto per aver contrastato, sia pur in senso atlantico, l’ortodossia finanziaria dei tedeschi e aver protetto l’euro nella crisi del 2010.

Parigi si fa ‘sovranista europea’ perché concepisce la UE e l’euro come strumento di una propria riaffermazione come potenza regionale (nella UE, nei Balcani, nel Mediterraneo e nell’Africa particolarmente subsahariana) e mondiale (ambizioni indo-pacifiche). In scia di ciò, per Parigi c’è già una dominanza sull’Italia (si ricordi il 2011 in Libia) che ha fatto man bassa e a basso costo delle nostre imprese negli ultimi anni con scalate bancarie e acquisizioni di beni patrimoniali anche decisivi (da pezzi di Fincantieri alle telecomunicazioni, ecc.), con l’obiettivo di rafforzare nella UE il proprio settore strategico (la Difesa e le telecomunicazioni, ad esempio) e potenziare il peso della propria politica estera controbilanciando lo strapotere germanico.

Dal punto di vista degli USA, degli interessi atlantici, che sono la stella polare rivendicati pubblicamente più volte da Draghi (già nel suo discorso di investitura in Parlamento) per la sua barra di governo, l’Italia con la fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE copre un vuoto subordinato e funzionale alle direttrici geopolitiche della Casa Bianca.

Ogni amministrazione USA, quella di Biden inclusa, ha sempre puntato ad un’Unione Europea con gli Stati del continente ‘tutti dentro e la Germania sotto’.

Un’ideale area politicamente centralizzata, nell’alveo atlantico, senza alcuna potenza che svolga un ruolo egemone, in primis la temuta Germania con la sua ‘naturale’ spinta ad est. L’accordo bilaterale potrebbe servire a vincolare la Germania alla sopravvivenza dell’euro e a rintuzzare la spinta austeritaria il cui ripristino, dopo la sospensione nella fase pandemico/sindemica, è già stato evocato a Bruxelles da esponenti del nuovo governo tedesco.

Ridimensionare la Germania è un obiettivo comune a Stati Uniti e Francia come fu all’atto dell’introduzione dell’euro, salvo poi separarsi su chi debba avere la predominanza. E all’Italia che resta?

In ballo, per le consorterie affaristiche italofone, oltre alle prebende possibilmente derivabili dall’essere in scia o comunque nella sfera d’influenza francese, ci sono rendite e appannaggi, con attuale epicentro nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) europeo, la cui fruizione l’accordo con Parigi potrebbe assicurare a fronte delle tempistiche e condizionalità poste rigorosamente dalla Commissione Europea.

Visione strategica, autonomia politica nazionale, ricadute positive nella società italiana? Sostanzialmente non pervenute.

Palazzo Chigi sta giocando su più tavoli da cavalier servente baricentrato atlantico cercando di trarre qua e là dei vantaggi per le frazioni affaristiche dominanti interne.

E per l’Italia? Ci sono l’intestazione prestigiosa della sede (Roma) e del nome del Trattato (“del Quirinale”, appunto) a gratificare nella forma l’eccezionalità dell’evento. Per benevolenza, bontà sua, di Macron.

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