«I talebani non sono l’esercito nord vietnamita. Non sono nemmeno lontanamente comparabili in termini di forza e capacità. Non vedremo persone evacuate dal tetto dell’ambasciata statunitense in Afghanistan. Non si possono assolutamente fare paragoni». Così l’8 luglio, in conferenza stampa, sulla situazione in Afghanistan, si era espresso il presidente USA Joe Biden, convinto della tenuta del loro governo fantoccio e dell’esercito e milizie varie che hanno addestrato per vent’anni.
Poco più di un mese dopo, tutto quell’apparato politico e militare è imploso ovunque, si è letteralmente sbriciolato in men che non si dica nel momento in cui i militari statunitensi -e quelli dei Paesi subalterni della NATO in scia- si sono ritirati dal Paese. Nulla di sorprendente, quanto all’esito, se si seguivano negli anni gli accadimenti. Tolte le poche migliaia di persone che, a vario titolo, avevano collaborato con gli occupanti e i loro governi fantoccio, e le cui immagini di disperata fuga sugli aerei in precipitosa partenza da Kabul vengono rilanciate dalle stazioni televisive internazionali, tolti sporadici scontri, prevalentemente a Kabul, il grosso dei militari si è arreso senza combattere, è passato dall’altra parte, di fronte ad un’avanzata talebana che ha confermato di avere un largo consenso anche tra la popolazione delle città che non erano già sotto il suo controllo.
Ci sono tante questioni da sviscerare non affrontabili in una rete sociale. Riguardano la narrativa occidentale sulle guerre di civiltà, vettore di interessi economici e/o geopolitici a tutto campo; la valenza delle identità culturali, nazionali e le loro interconnessioni, quando ci sono, con una fede religiosa; i valori e diritti umani, in astratto universali ma poi ‘sentiti’, declinati, concepiti in maniere radicalmente diverse in relazione al pluriverso di culture, il che apre a ‘nodi’ e a considerazioni più approfondite; le ripercussioni negli Stati Uniti, in vista anche delle loro guerre prossime venture; le ricadute geopolitiche nell’area con diversi attori (Cina, Russia, Pakistan, Turchia, Iran in primis) che non potranno essere indifferenti al maturare dei nuovi scenari; il ‘senso’, se di ‘senso’ si può parlare, della politica estera italiana, servile (agli USA in primis, alla UE in scala gerarchica discendente) e di una miseria -solo in quel Paese ventennale- senza fine.
16 agosto 2021
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