Riportiamo lo stralcio dell’articolo “Italia/Scenari economici e transizione necessaria” di Alberto Leoncini uscito in Indipendenza n. 49 dedicato alla vicenda Monte dei Paschi di Siena: la cronaca di questi giorni ci conferma di essere stati facili profeti nell’evidenziare come il sistema delle porte girevoli politica/affari stia partorendo l’ennesimo regalo al sistema bancario privato, scaricando un conto diretto alla collettività di circa 10 miliardi di euro, senza contare le già annunciate riduzioni occupazionali e l’abbandono di qualsiasi ipotesi di banca pubblica.
L’acquisizione da parte di Unicredit sarà nei fatti a costo zero, con trattativa privata e bilanci ripuliti: uno schema già usato con il precedente delle banche popolari venete (VenetoBanca e Banca Popolare di Vicenza), acquisite a 1 euro da Banca Intesa, e oggi replicato nei suoi tratti essenziali come osserva Alessandro Volpi su altreconomia.it .
La tanto amata ‘concorrenza’ viene mandata in soffitta indirizzando il nostro sistema creditizio verso un oligopolio di fatto (Unicredit/Banca Intesa) con quanto ne deriva in termini di costi per l’utenza (famiglie e imprese), riduzioni occupazionali, accorpamenti e chiusure di filiali nei territori.
Ciò non bastasse, si raggiunge l’agognata soglia del ‘too big to fail’ per continuare, forti del ricatto politico, le più spregiudicate operazioni finanziarie certi del fatto che la mano pubblica e dunque la collettività, per le dimensioni sistemiche, correrà a tappare i buchi.
Profitti privati e perdite pubbliche, uno schema ormai rodato.
La lotta in questa fase deve indirizzarsi per la creazione di Monte dei Paschi di Siena come banca pubblica indirizzata al sostegno economico e creditizio per i cittadini e le microimprese.
La fretta del Governo pare essere dovuta al mantenimento di ‘buoni rapporti’ con Bruxelles: siamo ormai ai sacrifici rituali!
I fatti ricostruiti nell’articolo fanno riferimento all’agosto 2020… Alla chetichella l’anno scorso, alla chetichella quest’anno: ovviamente è tutta una coincidenza!
Monte dei Paschi, credito pubblico e Unione Europea
Lo sconquasso derivante dalla pandemia in atto e la necessità ‘nei fatti’ di dover avviare politiche pubbliche di sostegno al tessuto economico si sta direzionando in piena continuitàcon le scelte degli ultimi decenni: privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite, intervento pubblico in un’ottica supplente e solo finché l’operazione risulti in perdita per la collettività e, non da ultimo, ritrazione del perimetro pubblico non appena possibile, o anche prima.
Emblematica in questo senso la vicenda Monte dei Paschi di Siena: portata al dissesto da folli operazioni di investimento e malversazione nel primo decennio degli anni 2000 tanto da creare un buco grossolanamente stimabile in 45 miliardi di euro, la Banca è oggi sotto il controllo pubblico visto che la sua insolvenza, date le dimensioni di ‘banca sistemica’, avrebbe innescato una crisi bancaria in Italia e, a propria volta, un probabile sconquasso tale da poter concretamente mettere in crisi il sistema-euro. Non è un caso che Valdis Dombrovskis, approvando il piano di ricapitalizzazione pubblica abbia affermato: «In ogni caso, le soluzioni che sono state messe in atto dovrebbero proteggere la stabilità finanziaria in Europa e ridurre l’onere a carico dei contribuenti»
Paternalismo nei confronti dei contribuenti a parte, è il quadro sistemico europeo che stava a cuore alla Commissione, non certo la tutela dei piccoli risparmiatori di cui è stata fatta carne di porco senza batter ciglio in molte altre occasioni (popolari venete, Banca Etruria, Carife etc..).
Non tutto il male vien per nuocere –verrebbe da dire– se, con il collasso economico in atto, si potesse contare su una banca pubblica per sostenere quegli interventi imprescindibili quantomeno per arginare il quadro congiunturale attuale, tanto più che i principali Paesi europei, a partire dalla Germania, hanno a tutt’oggi una rilevantissima presenza pubblica nel settore creditizio. Niente affatto, il 10 agosto 2020 –sotto Ferragosto, secondo la più classica delle operazioni alla chetichella da Prima Repubblica– il Tesoro (a guida Gualtieri) ha chiesto di porre il tema della privatizzazione del MPS «alla prima seduta utile» del Consiglio dei Ministri nonostante l’esigenza collettiva di avere una banca pubblica e, altro ‘banale’ problema, il crollo dei corsi azionari che porterebbe una pesantissima minusvalenza per il Tesoro.
Già a luglio tuttavia si susseguivano indiscrezioni sulla privatizzazione nei tempi in origine programmati della Banca: «L’accelerazione del Tesoro sul dossier sarebbe motivata anche dalla volontà del governo di dare un segnale a Bruxelles in un momento nel quale sul tavolo della concorrenza Ue sono in arrivo le carte di altri interventi statali pesanti e –per le casse pubbliche– onerosi, da Alitalia alla ex Ilva». Insomma, l’assioma è non indispettire Bruxelles, cascasse anche il mondo.
Certo, che al vertice di Unicredit, in prima fila per l’acquisizione, sia stato messo Pier Carlo Padoan, ex ministro e deputato del PD per il collegio di Siena, è una coincidenza da malpensanti così come lo è il probabile –non confermato né smentito– coinvolgimento di Bank of America come consulente finanziario dell’operazione
Non si creda che la critica a questa ennesima genuflessione sia qualcosa da rivoluzionari: «Per il futuro del Monte dei Paschi di Siena esistono diverse soluzioni, ma è preferibile per ora che la banca resti pubblica. Lo Stato fino ad ora ha già speso 7 miliardi di euro ed una accelerazione della privatizzazione potrebbe comportare ulteriori esborsi di denaro pubblico lasciando molti dubbi. Una eventuale aggregazione, infatti, oltre a creare un danno sul versante occupazionale specie nelle città di Siena e Firenze, provocherebbe l’immediata sparizione di un marchio storico, quello della prima banca nata in Italia» così Lando Maria Sileoni, segretario della FABI, il sindacato dei bancari.
Monte dei Paschi, le tappe che in vent’anni hanno distrutto la banca più antica del mondo
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