L’articolo che segue è del prof. Paolo Maddalena, vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale. Il fatto specifico (una “Proposta di delibera di iniziativa popolare” al Comune Di Roma) attinente ai “beni comuni”, lungi dall’essere localistico, è di valenza e portata più ampia. Un concetto, quello di “beni comuni”, sul quale è bene intendersi perché non si equivochi. Prezioso è, in tal senso, il contributo di Maddalena.
La posizione di Indipendenza, contrariamente all’indirizzo da decenni dominante, è che i cosiddetti “beni comuni” sono “proprietà collettiva demaniale” del popolo, cioè “proprietà pubblica” e pertanto inalienabili, inusucapibili e inespropriabili, diretti quindi solo alla soddisfazione dei diritti fondamentali di ogni cittadino. La “proprietà collettiva demaniale” comprende non solo il cosiddetto “demanio naturale” previsto dal codice civile, ma anche e soprattutto “i servizi pubblici essenziali” (nazionali e locali), “le fonti di energia” (acqua, luce, gas, industrie strategiche, fonti di produzione della ricchezza nazionale, ecc.) e le “situazioni di Monopolio”, tutte categorie previste dall’art. 43 della Costituzione, il quale precisa, tra l’altro, che tali “fonti di produzione della ricchezza” devono essere “in mano pubblica” o di “Comunità di lavoratori o di utenti”.
Che gli interventi di Maddalena su queste questioni siano, a nostro avviso, sempre molto puntuali, è un fatto. Con il che non si sottace che Indipendenza non condivida le sue posizioni che, affioranti ogni tanto in passato, ultimamente si siano fatte più insistenti circa l’auspicio di un alter-europeismo in termini di “organismo unitario” che veda la trasformazione dall’attuale “sistema economico predatorio neoliberista” ad un “sistema economico produttivo keynesiano”.
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La “Proposta di delibera di iniziativa popolare” al Comune Di Roma, avente a oggetto: “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la rigenerazione e la gestione in forma condivisa dei beni comuni urbani”, presta il fianco a una lettura che, a parte le reali intenzioni dei proponenti, induce a intravvedere nel documento una sorta di mascheramento, invero mal riuscito, inteso a far apparire come interesse generale il più evidente interesse individuale speculativo. Si parla di partecipazione popolare, di patto di collaborazione tra cittadini, singoli o associati, e amministrazione, di beni comuni, di restauro dei beni artistici e storici, di principio di sussidiarietà orizzontale e così via, ma l’obiettivo reale, se si eccettuano i cosiddetti “patti di collaborazione ordinari” (i quali, come si legge all’art. 7 del Regolamento, hanno a oggetto gli interventi per “la pulizia delle strade, l’imbiancatura dei muri, la piccola manutenzione ordinaria, il giardinaggio, gli allestimenti, le decorazioni, le attività di animazione territoriale, ecc.”), appare, a una più penetrante lettura, completamente diverso.
Ponendoci in questa prospettiva, si potrebbe dire, allorché si passa alla lettura dei “Patti di collaborazione complessa” (art. 7, numero erroneamente ripetuto), che “l’interesse generale” è invocato soltanto come una “maschera” dietro la quale si realizzano puri interessi speculativi immobiliari. Un accenno in riferimento a questo ignobile fine lo si intravvede già all’art. 5, lett. c), dove di parla di “impegni, anche economici, dei soggetti coinvolti”, ma tutto diventa esplicito e chiaro, quando si arriva all’art. 10, comma 5, dove si legge: “qualora il patto di collaborazione (complesso) abbia a oggetto azioni e interventi di cura, di gestione condivisa o di rigenerazione di beni comuni che il Comune ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi (si potrebbe leggere: “i palazzinari”) sono in grado di mobilitare appaiono adeguate, il patto di collaborazione può prevedere l’attribuzione di vantaggi economici a favore dei cittadini attivi, quali, a mero titolo esemplificativo: a) l’uso a titolo gratuito di immobili di proprietà comunale; b) l’attribuzione all’amministrazione delle spese relative alle utenze; c) l’attribuzione all’amministrazione delle spese relative alle manutenzioni; d) la disponibilità a titolo gratuito di beni strumentali e materiali di consumo necessari alla realizzazione delle attività previste”. E come se ciò non bastasse, il successivo art. 6 sancisce che, nelle condizioni sopra specificate, “il patto di collaborazione può prevedere anche l’affiancamento di dipendenti comunali ai cittadini attivi”.
Insomma, questo provvedimento potrebbe significare, ad esempio, che, se il palazzinaro vuole acquistare senza troppi sforzi economici l’uso gratuito e perpetuo di un albergo di lusso oggetto di “rigenerazione urbana”, può impiegare delle “risorse adeguate”, ovviamente non al costo della ricostruzione, ma alle valutazioni discrezionali e insindacabili dell’amministrazione, e ricevere dall’amministrazione stessa “vantaggi economici”, come il pagamento delle utenze e delle spese di manutenzione, nonché, durante la costruzione, “la disponibilità di beni strumentali e materiali di consumo necessari alla realizzazione dell’opera, oltre all’affiancamento di dipendenti comunali”. Insomma un bell’affare. E i beni comuni? Già non era chiaro di cosa si parlasse, ma, alla fine della lettura del Regolamento, si capisce che essi sono scomparsi e si sono totalmente trasformati in un bene in uso privato e gratuito e perpetuo. E tutto questo proverrebbe, si faccia attenzione, addirittura da una proposta di legge di iniziativa popolare! Ci pensino bene i 12.000 firmatari.
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