«Utilizzare le dodici ore della giornata per le lezioni in presenza, dalle 8 alle 20, spingere per portare più classi a scuola il sabato e la domenica (…) Siamo in emergenza e bisogna far cadere ogni tabù. Anche gli orari delle attività produttive dovranno essere cadenzati». Lo propone, in un’intervista a “la Repubblica”, Paola De Micheli. La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, forse perché preda dell’eccitazione di cogliere in chiave neo-liberista le opportunità della “emergenza sanitaria” e di far cadere “tabù” (leggasi: diritti, e non solo), dimentica aspetti non secondari per la sua stessa ideologia di riferimento. Per limitarci (in questa sede) alla scuola, la ministra (che pure al riguardo dovrebbe saperne qualcosa, visto il suo dicastero) glissa sullo stato durevolmente critico del trasporto pubblico (mezzi e autisti) che, al di là di annunci/misure ‘spot’, continua ad essere largamente carente sul territorio nazionale. Tra l’altro, al riguardo, è la stessa ministra De Micheli a dire che, per garantire lo stesso servizio con i bus capienti al 50% come sono nuovamente oggi, “servirebbe un numero di mezzi che le città non possono ospitare” considerando poi chi, per recarsi a scuola, fa il su e giù dalla provincia in città. La ministra glissa sui costi aggiuntivi per pagare energia elettrica, gas e acqua sette giorni su sette, dimentica che la settimana corta (dal lunedì al venerdì) è da tempo incoraggiata nelle scuole per ridurre i costi non solo di quei servizi essenziali, ma anche il numero –con relativo ‘risparmio’ stipendiale– degli operatori ATA (in primis bidelli) spalmandosi le turnazioni su un giorno di meno a settimana. Misure, queste, d’ossequio alle direttive austeritarie delle istituzioni europee.
Si potrebbe continuare con le ripercussioni di cui sopra sugli insegnanti. Inezie!
In queste settimane, nelle alte sfere della ‘politica’, dell’informazione, ecc., c’è un ostentare di tanti con il cuore in mano quando si parla di scuola: forti ed evidenti sono i limiti della didattica a distanza, con l’abbassamento (ulteriore) della qualità della trasmissione culturale, il vuoto di socializzazione reale, le implicazioni negative nelle famiglie e nella società. Non si può, insomma, far finta di niente! Forse la De Micheli ha pensato di esternare le sue ‘perle propositive’ per segnalare che “anche lei c’è”! O forse ha inteso –non solo lei, peraltro– far ricadere sulla scuola (come da molto tempo, ormai) responsabilità che purtroppo non sono circoscrivibili alla scuola, ma sono parte di un insieme depressivo di spinte ‘culturali’, di atti normativi e ricadute sociali ed economiche ‘made in UE’.
Ben altri sono infatti i “tabù” da abbattere. Ad esempio i ‘compiti’ austeritari richiesti (da decenni a questa parte) da Bruxelles ai governi. E allora, per restare in tema, si riaprano le scuole, anche quelle abbandonate in nome di accorpamenti e risparmi; ci si rifiuti di formare e riformare classi pollaio ad ogni inizio ciclo scolastico; si assumano insegnanti e personale amministrativo riconoscendone l’importante ruolo nella società e riqualificandone il servizio! Ci troveremmo alle pre-pre-pre-condizioni per una rinascita della scuola pubblica nazionale. La De Micheli, dal canto suo, potrebbe intervenire sulle materie di sua competenza (infrastrutture e trasporti) su cui privatizzazioni o gestioni privatistiche di ambiti di interesse nazionale, pubblico, sono altri tabù da abbattere, in nome di una conquista –finalmente!– di una loro piena presa in cura pubblica quanto a gestione, investimenti e direzione. Certo, ci dovrebbe essere ben altra classe dirigente e un protagonismo politico/sociale delle classi popolari. Appunto!
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