Scontro tra governo e sindacati sulla legge di bilancio approvata ieri in Consiglio dei ministri. I sindacati lamentano metodo e merito. Sul metodo: la mancata concertazione, l’essere stati chiamati al confronto solo dopo l’approvazione. Lo riconosce il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che però evoca pregressi incontri con i sindacati («decine di volte») e propone, «durante l’iter parlamentare», approfondimenti sulla manovra e sul Recovery Fund. Gli fa eco il ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, che lascia intravedere benefici nell’intreccio tra ‘aiuti’ (tutt’altro che tali!) europei e “decreti ristori”.
Su assunzioni, lavoro in sicurezza e rinnovo dei contratti nella Pubblica amministrazione –lamentano i sindacati– nella manovra «non ci sono risposte adeguate» (peraltro reclamate ben prima del CV-19). Conte le giustifica così: «Siamo in un periodo in cui si proporranno nuove e diverse disuguaglianze. Un impiegato pubblico oggi, non muovendosi da casa, può esercitare la propria attività con risparmio di tempo e risorse, mentre molte altre categorie stanno soffrendo veramente. Ad esempio gli esercizi commerciali e le partite Iva hanno serie difficoltà». Premesso che ci sono partite IVA e partite IVA, Conte bypassa così questi annosi problemi (assunzioni, sicurezza sul lavoro e rinnovo dei contratti) con l’argomento dell’attuale crisi da coronavirus, riecheggiando il concetto espresso una decina di giorni fa in modo più acrimonioso (e molto meno ‘diplomatico’!) dal ‘maître à penser’ europeista Massimo Cacciari nei confronti degli Statali: «Voglio dire ai miei colleghi dello stato e del parastato, prima o dopo arriveranno a voi, per forza. E io spero che ci arrivino presto, perché è intollerabile che questa crisi la paghi metà della popolazione italiana».
È uno dei cavalli di battaglia dell’armamentario ideologico ‘liberal’ (con rapporti di forza consolidatisi da decenni con il processo di integrazione europea) quello di contrapporre strati sociali subalterni anche e soprattutto nei momenti di crisi, e non solo per ‘strette’ su remunerazioni e diritti. Un assunto propagandistico funzionale che, a seconda delle convenienze del momento, veicola in modo sommario e generico ora lo stereotipo del pubblico dipendente nullafacente e garantito, ora quello del titolare di partita IVA (con riferimento solo alle piccole e medie, peraltro) evasore e sfruttatore di lavoro subordinato. Insomma gli statali devono concorrere a pagare questa fase di crisi, peraltro figlia anche dei numerosi tagli che il variegato settore pubblico in Italia soffre da molto tempo a vantaggio del lucro di interessi oligarchici (interni ed esteri), con tanto di ‘imprinting’ ideologico e diktat eurounionisti!
Come esito dello scontro con il governo, i sindacati hanno proclamato per il 9 dicembre lo sciopero generale in tutti i comparti del pubblico impiego. Con la Triplice senza ‘se’ e senza ‘ma’, quindi? No, Indipendenza in piazza –e nelle forme che siano– farà la sua parte per dire basta alle politiche neoliberali, ma i sindacati fingono di non vedere che lo stato di prostrazione sociale generalizzato in cui versa l’Italia origina dalla sua collocazione dentro l’Unione Europea, vettore delle politiche neoliberali di tagli, privatizzazioni, restrizioni dei diritti e connesse implicazioni politico-sociali negative. Il governo Conte, come quelli che lo hanno preceduto da diversi decenni e quelli che presumibilmente (purtroppo!) seguiranno sulla stessa linea, è quindi una parte del problema.
Per le condivisibili rivendicazioni di cui sopra –e perché maturino consapevolezze e consensi sociali– andrebbe rivendicata, come obiettivo intermedio, l’introduzione di una moneta parallela all’euro, con rapporto 1 a 1, garantita dallo Stato e riconosciuta solo sul territorio nazionale, per rendere possibili e adeguati gli investimenti pubblici e i sostegni a tutti i redditi e famiglie in crisi. Un obiettivo raggiungibile, questo? Assolutamente no! Il governo di turno e le istituzioni UE che lo sovrintendono non l’accetteranno mai in sé e perché potrebbe preludere ad ‘altro’. Servirebbe una ben diversa classe dirigente e ben diversi rapporti di forza nella società italiana. Ma è in vista di queste prospettive che è bene che circolino certe idee-forza, certe proposte ed una prospettiva possibile di alternativa di società.
Tra gli effetti negativi del coronavirus c’è anche quello positivo del disvelamento dei ‘nodi’ della dipendenza/colonizzazione dell’Italia e del configurarsi di una situazione sempre più favorevole perché un ancora parziale atto di sovranità (l’introduzione di una moneta di Stato parallela all’euro) si presenti nella sua sensatezza e, con altro di collegato anche in termini di rivendicazioni sociali avanzate, si saldi all’indispensabile lotta di liberazione nazionale per la sovranità e l’indipendenza politica, a rendere così possibile orientare e determinare ben diversamente il futuro di questo Paese. L’alternativa, altrimenti, continuerà ad essere il declino e lo sfaldamento sociale del Paese, acceleratisi negli ultimi anni, che di questo passo preluderanno all’agonia e alla messa in discussione dell’esistenza stessa dell’Italia come Stato unitario.
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