USA: una democrazia nelle buste

Gli ‘States’: un Paese spaccato da un voto presidenziale fortemente polarizzato, espressione di lacerazioni interne profonde e più variegate di quanto appaia dalle urne. Un sistema di voto maggioritario a più livelli, al cui termine nemmeno è detto che una maggioranza assoluta dei voti veda eletto chi l’ha conseguita. Un meccanismo quantomeno molto discutibile per tenere insieme un sistema federale che vede formare il numero fatidico dei 270 Grandi Elettori con vistose falle nella macchina procedurale elettorale che puntualmente emergono alla ribalta ogni volta che si va alle urne. E poi una farraginosità ed una opacità, a voler essere eufemistici, nei tempi dei conteggi includendo anche il voto postale (senza precedenti per dimensioni a questa tornata) che, di là dalle discutibili modalità, spicca per intrinseche carenze di tracciabilità e trasparenza del suo esercizio.

Un ‘remake’ ben peggiore del 2000 (allora lo ‘scontro’ riguardò Bush – Al Gore). Per molto molto meno, nei confronti di un qualsiasi Paese non allineato, a Washington si sarebbe urlato ai brogli inauditi, scandalosi, meritevoli di sanzioni e di intervento umanitario-militare, con sicura eco e indignazione anche nelle filiere massmediatiche (‘pubbliche’/private) e politiche di una delle Province dell’Impero, l’Italia.

Biden canta vittoria (e comunque per il rotto della cuffia, con buona pace di sondaggi abitualmente ‘orientati’ da chi li controlla a fini propagandistici e anche stavolta clamorosamente smentiti) mentre Trump denuncia brogli e annuncia ricorsi alla Corte Suprema dei singoli Stati federati e a quella federale. C’è da auspicare, senza nutrire aspettative in una lunga battaglia legale, che gli strascichi di questa fase contribuiscano non tanto ad un rovesciamento improbabile degli esiti di questa farsa elettorale, quanto ad acuire i contrasti ben più diffusi interni alla società statunitense. Pur nelle diversità che possono essere rilevate volta a volta nei ‘competitor’ di turno (anche stavolta tra Biden e Trump), in ultima istanza l’ideologia condivisa è quella imperiale da “America first”. Quindi, più si acuiscono i contrasti interni nel cuore dell’Impero, meno brutalità e barbarie c’è da aspettarsi nel resto del mondo. Non è tutto, ma non sarebbe poco.

Trump: da ‘outsider’ ai ranghi?

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