È auspicabile la vittoria del NO alla modifica costituzionale che vorrebbe ridurre il numero dei parlamentari della Repubblica. Nei mesi, nelle settimane e fino a ieri anche Indipendenza ha fatto la sua parte per sviscerarne le ragioni. Ma è bene non raccontare storie come è capitato di sentire nel variegato fronte del NO: quell’auspicabile vittoria non significherebbe il salvataggio della democrazia, ma uno stop (quanto momentaneo?) al suo scardinamento avviato da tempo sul piano politico, economico e sociale.
Continuano infatti ad essere in atto le limitazioni se non cessioni di sovranità nazionale agli invasivi poteri euro-atlantici coadiuvati dalle connivenze interessate dei grandi gruppi economico-finanziari e dei (trasversali) ceti politici italofoni che sinora hanno tenuto le ‘redini’ del Paese. Il che si collega strettamente ai processi di espropriazione dei diritti sociali e di privatizzazione dei beni pubblici (pensiamo all’ultima evidenza eclatante, quella del disastro della sanità sempre più ex pubblica con il CV-19), alle vite precarizzate e in generale eterodirette dalle regole del mercato liberale e dalle direttive del complesso di Troika (UE, BCE, FMI), che si sono fatte via via più feroci proprio con il progredire del processo d’integrazione europea.
Per una radicale inversione di rotta rispetto ai disastrosi indirizzi politici, economici e sociali di svariati decenni a questa parte, ogni lotta particolare, ‘sezionale’, va inserita in un orizzonte più ampio che punti alla conquista della sovranità politica a tutto campo della nazione, al ripristino della piena capacità di direzione e di intervento di uno Stato italiano (da rifondare anche nei suoi ceti allo stato compiacenti e servili ai poteri forti interni ed esterni al Paese), ad un’idea di società ben diversa dall’attuale. Nessuna salvezza e difesa dell’esistente, quindi, ma prosieguo e rafforzamento di una lotta per la sovranità, l’indipendenza e la liberazione nazionale e sociale.
Perché al referendum sul taglio dei parlamentari votiamo NO
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