Siamo ben lontani dallo spirito che, nel dopoguerra, ha visto la necessità di trovare convergenze, non prive di contraddizioni e opportunismi ma comunque guidate da un senso delle istituzioni ben più alto dell’attuale, quando l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, la conglomerata industriale pubblica, ha dato vita alla Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A.; da diversi decenni, ormai, il paradigma neoliberista degrada il ruolo del pubblico e dello Stato a vantaggio di politiche predatorie e di profitto, senza che queste vengano messe senza indugio in discussione neanche, da ultimo, di fronte alle 43 vittime del crollo del ponte Morandi di cui è responsabile Atlantia, la controllante di Autostrade per l’Italia S.p.A., a propria volta facente capo alla galassia della famiglia Benetton.
Nei giorni scorsi il ministro dei Trasporti Paola De Micheli e il commissario per la ricostruzione Marco Bucci hanno dichiarato di voler rispettare la convenzione, lasciando la gestione ad Autostrade per l’Italia nonostante siano accertate «gravi inadempienze e sistema di falsificazione di report e atti pubblici» constatate dalla Procura di Genova: per costoro una resa incondizionata, tanto più grave dopo lo sdegno nell’opinione pubblica provocato dallo scandalo conclamato dopo la tragedia del Ponte Morandi.
Sarà tutto da vedere il merito dell’eventuale compromesso che verrà raggiunto, dato che il M5S, in grave affanno, potrebbe essere costretto all’ennesima capitolazione nel solco del cerchiobottismo governista rispetto ai proclami lancia in resta con cui si è presentato all’elettorato e che sembrano oggi una grottesca caricatura. Intervistato da La Stampa, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha dichiarato che «i Benetton non hanno ancora capito che questo governo non accetterà di sacrificare il bene pubblico sull’altare dei loro interessi privati». Quanto c’è di ‘sentito’, quanto invece di finalizzato non solo a scongiurare la crisi nella maggioranza, ma anche la caduta di credito del M5S –alla cui guida si ventila che possa andare in futuro lo stesso Conte– che (anche) su questo, da subito, aveva promesso di fare barricate? Vedremo quel che uscirà.
È interessante ora ripercorrere, per sommi capi, ciò che ha permesso la privatizzazione di fatto, attraverso il meccanismo della concessione, di questa infrastruttura strategica italiana e la blindatura con il gruppo Benetton.
Una legge del 1993 (n.537) stabilisce non necessaria la maggioranza pubblica all’interno delle concessionarie autostradali. Ad agevolare questo passaggio seguono alcune delibere del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) nel solco dello spostamento decisionale al di fuori dalle sedi elettive, come tipico dell’influenza dell’ordinamento europeo.
Nel 1997 una nuova convenzione fa slittare di 20 anni (dal 2018 al 2038) le scadenze fino a quando, nel 1999, il gruppo Benetton riesce a monopolizzare le autostrade avendo l’IRI dato via libera alla sua totale privatizzazione e venendo esso stesso smantellato.
Grazie ad una ‘finta’ gara di appalto, che ha come concorrente il gruppo australiano Macquarie, con poco più di 6mila miliardi di lire la cordata Schemaventotto Spa, capeggiata dai Benetton, si assicura altri 20 anni di profitti indisturbati e garantiti da un meccanismo di adeguamento dei pedaggi tagliato ‘su misura’.
Un sistema di porte girevoli e intrecci tra affari e politica che unisce gestione e manutenzione della rete autostradale alle soste degli italiani in Autogrill, di cui la famiglia è azionista di maggioranza in esito, neanche a dirlo, alla sua privatizzazione.
Su questo si incastona un’altra questione, la trasparenza sui fondi ai partiti anche attraverso associazioni, fondazioni e movimenti, giocoforza alla mercé di queste holding.
Paolo Maddalena così è intervenuto sul tema: «In base al diritto vigente Autostrade è tenuta a ricostruire a sue spese il ponte crollato a causa della sua incuria e a risarcire tutti i danni prodotti. Nel contempo la concessione di cui si tratta deve essere revocata per legge e il servizio pubblico delle autostrade deve essere affidato, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, a un ente statale o a una comunità di lavoratori o utenti. La precedente concessione, avvenuta in dispregio della Costituzione, è da ritenere inesistente e incapace di produrre diritti a qualsiasi indennizzo. Questo deve essere soltanto l’inizio».
Questa vicenda ci ricorda qualche punto fermo: 1. i monopoli naturali, strategici, come le autostrade, devono essere gestiti dallo Stato. 2. Quando un monopolio naturale finisce in mani private, si pensa forse che possa essere tutelato l’interesse pubblico? Ovvio che no, il privato tutela il proprio interesse, le proprie finalità di profitto e quindi, come insegna anche la storia delle autostrade, aumenti delle tariffe, investimenti minimi e rendite miliardarie, con buona pace dei “danni collaterali”.
Alberto Leoncini (Indipendenza, Treviso), Chiara Ciampi
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