Gli eurovirus del Consiglio Europeo

Fuffa! È questo l’esito del Consiglio Europeo, per chi si aspettava mirabolanti decisioni salvifiche. La palla per le ultime definizioni passa ora alla Commissione Europea, il 6 maggio. Quindi il MES per i costi diretti e indiretti della sanità è sul tavolo, con le sue condizionalità come da statuto (semmai ex post, una volta fuori dal ‘clamore’ dell’emergenza sanitaria) così come lo sono le modestissime linee creditizie quali il Sure per la cassa-integrazione europea co-finanziato nell’erogazione con lo Stato interessato e la Bei (Banca Europea per gli Investimenti) per le imprese. Finanziati entrambi dagli Stati interessati, tornano parzialmente come prestiti che andranno a gravare sul rapporto debito/Pil già il prossimo anno: per l’Italia, insomma, una prospettiva da tracollo economico-sociale e commissariamento stile Grecia.
Anche il Recovery Fund evocato nell’ultimo Eurogruppo è sul tavolo: “temporaneo e mirato per la ripresa” la sua dotazione consta di 320 miliardi di euro, raccolti grazie all’emissione di obbligazioni comuni, di cui la metà sarebbe distribuita sotto forma di prestiti, l’altra metà andrebbe a programmi ‘ad hoc’, nel quadro del bilancio UE 2021-2027, da definire e spalmare negli anni. Quindi non solo è di un modestissimo imbarazzante, non solo è per metà ulteriori prestiti, ma nemmeno è ancora chiaro come funzionerà, se funzionerà, quando funzionerà. Poi possibili altri interventi finanziari che la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, vorrebbe “mobilitare”: se, chissà, quando, a quali condizioni, tutto è nel vago. Adesso conta sparare qualche cifra ‘estetica’, d’immagine, per i gonzi euro-professanti: ed ecco allora uscire dal bussolotto 2.000 miliardi di euro.
Già sono cominciate le grandi strombazzate nelle istituzioni europee ed anche nel governo italiano su questi strumenti e questi “grandi progressi impensabili” di una “risposta europea” ritenuta (pare incredibile ma così riferiscono le agenzie”) “più solida e coordinata”. Di fronte alla crisi economica più profonda dal dopoguerra, che ha aggravato non solo in Italia le già enormi fragilità esistenti prima dell’emergenza sanitaria a causa delle depressive politiche euro-unioniste, la montagna ‘europea’ ha partorito euro-virus da ulteriore indebitamento ‘estero’, con relative prossime spoliazioni predatorie, aggiuntive restrizioni dei residuali diritti sociali, aggravamento ed allargamento degli strati di società prostrati nelle disponibilità di reddito e di condizioni di vita.
Mentre la presidente della BCE Christine Lagarde paventa contrazioni produttive dell’Eurozona del 15% e sostiene che si sta facendo troppo poco e troppo in ritardo per contrastare i danni economici come se lei e l’istituzione europea che dirige non fossero parte del problema, il governo italiano, come da ultima riunione di poche ore fa, parla del Pil in caduta libera e di perdite per 126 miliardi, una chiusura a fine anno se “tutto andrà bene” a -8%, con debito al 155,7% del Pil ed “un indebitamento a due cifre, attorno al 10,4%, compreso l’extradeficit fino a 55 miliardi che servirà per finanziare le nuove misure anti-virus”. In concomitanza Moody’s, agenzia di rating (valutazione) statunitense, prevede una “severa contrazione” dell’economia italiana “nella prima metà del 2020”.
Agli euro-imboniti, che ricorrentemente prospettano scenari catastrofici fuori dalla (gabbia) UE e dall’euro, non da oggi andrebbe fatto notare che la catastrofe è già qui, è ormai in durevole divenire, e da molti, troppi anni, è instradata lungo una china da fermare prima che sia troppo tardi.
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