Il primo ministro Hassan Diab ha annunciato poche ore fa l’insolvibilità (“default”) di un’obbligazione in scadenza tra due giorni (pagamento di $ 1,2 miliardi in eurobond da parte della Banca centrale del Libano) ed espresso l’intendimento del governo di avviare negoziati per ristrutturarlo. Un inedito nella storia del Libano, con un settore bancario sinora tra i più rispettati nella regione.
Questo esito era nell’aria da diverse settimane: perché procedere al pagamento integrale delle obbligazioni con il mercato che aveva già ridotto i loro valori del 40-50%? Il pagamento del capitale e degli interessi del debito avrebbe privilegiato gli interessi di poche banche e investitori, con l’economia già in crisi non in grado di sopportare questo onere. A detta della rete (network) massmediatica USA Bloomberg, alcuni fondi esteri, pur di non perdere del tutto il capitale, avrebbero spinto il governo libanese assediato a non pagare.
La ex ministro degli interni Raya al-Hassan, in un’intervista il 13 febbraio scorso ad Asia Times, paventava che il partito patriottico sciita Hezbollah sarebbe stato “il più grande vincitore” del collasso libanese perché in grado di “sopravvivere”, grazie al sistema economico-sociale parallelo a quello dello Stato che ha costruito nei decenni con proprie reti di sicurezza sociale non confessionali e con un sostegno ed una predisposizione psicologica molto alti alla resistenza di buona parte della popolazione.
Forse c’è qualcosa in più di un problema di “sopravvivenza” partitica…
Nel quadro della sua campagna di destabilizzazione nella regione (Iran, Siria, Iraq, ecc.) l’amministrazione Trump ha ordinato la “massima pressione” contro Hezbollah, coordinata con i suoi alleati regionali Arabia Saudita (cancellazione di miliardi di dollari in aiuti da parte del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman) e Israele, e ha dissuaso altri Paesi dell’area, Qatar ed Emirati Arabi Uniti ad esempio, ad offrire sostegno. Quindi inasprimento delle sanzioni ed una strategia mirata a colpire Hezbollah minando il settore bancario, una strategia controproducente per la Hassan (membro del partito di Hariri, assolutamente non sospettabile di simpatie per Hezbollah) non efficace a destabilizzare Hezbollah che “non si serve del settore bancario!” e che le sanzioni all’Iran, aggiungeva, hanno intaccato marginalmente. La Hassan, che in quell’intervista diceva di essere favorevole all’annuncio di una moratoria, non ha escluso che la Casa Bianca sia intervenuta con pressioni anche sui Paesi europei disponibili a fornire finanziamenti. Asia Times riporta dichiarazioni di un funzionario di Hezbollah che, dietro anonimato, ha dichiarato che il partito si serve di “un’infrastruttura finanziaria che la rende perfettamente funzionante per circa 4-5 anni nonostante le sanzioni contro l’Iran”.
Nel frattempo la situazione economica nazionale è diventata sempre più disastrosa, con tagli agli stipendi, perdita di posti di lavoro, svalutazione della moneta. Le banche limitano da mesi l’accesso ai depositi e impongono controlli di capitale arbitrari e sempre più rigidi sui conti in dollari e sui trasferimenti internazionali, lasciando gli ospedali in crisi e le imprese sull’orlo del collasso, con aumento dell’inflazione. Da qui l’esplosione di manifestazioni sostenute a più riprese da figure dell’amministrazione USA, come il segretario di Stato Mike Pompeo. Una comparsa, quella dei “ragazzi di Beirut”, curiosamente concomitante con analoghe apparizioni in strada dei “ragazzi di Teheran” e dei “ragazzi di Baghdad” e analoghe parole d’ordine.
Da quando, nel novembre 2017, le sanzioni hanno colpito diverse banche iraniane nei loro trasferimenti di denaro, Hezbollah ha elaborato una nuova strategia per eludere queste misure e creare fonti alternative di finanziamento; dopo le elezioni parlamentari del 2018, ha ottenuto i dicasteri della salute, dei lavori pubblici e dei trasporti, dell’agricoltura, dell’energia e dell’acqua per finanziare progetti e attività commerciali tesi a fronteggiare lo scenario che si prospettava.
Ha guadagnato tempo sostenendo il governo di nuova costituzione, accettando che una delegazione del FMI giungesse il mese scorso, salvo però intrattenerla in consultazioni tecniche senza alla fine alcuna concretizzazione di un programma di aggiustamento strutturale per il Libano.
In conferenza stampa (25 febbraio) il vice di Hezbollah, Naim Qassem, ha quindi bollato il FMI e le sue proposte di gestione della crisi come strumenti imperialisti. Le misure di austerità proposte dal FMI ricordano quelle poste dall’Unione Europea al suo vicino Mediterraneo, la Grecia. Il Fondo voleva inoltre accedere alle principali istituzioni statali, imporre riforme come nel settore dell’energia alternativa (gestito da Hezbollah con una rete di generatori di grandi dimensioni con costi contenuti per i tanti fruitori), far chiudere tutti i punti di ingresso illegali tra Libano e Siria con un maggiore controllo sui porti aerei e marittimi del paese per ostacolare il contrabbando di merci gestito dalle reti commerciali e di sostegno di Hezbollah. Da tempo Hezbollah ha creato società per l’importazione di prodotti iraniani in esenzione fiscale e molto economici, come generi alimentari, farmaci, acciaio (tra il 2017 e il 2019 le importazioni sarebbero passate da $ 13.000 a $ 1,4 milioni).
In questo contesto, proprio a metà febbraio scorso, Hezbollah, con un discorso del suo massimo responsabile, Hassan Nasrallah, ha chiesto ai cittadini libanesi di boicottare beni e prodotti statunitensi come “parte della battaglia” contro il piano mediorientale del presidente Trump.
Il Fondo Monetario avrebbe voluto intervenire anche sulle istituzioni finanziarie di Hezbollah.
Quando le banche libanesi hanno iniziato a limitare il ritiro dei dollari statunitensi alla fine di ottobre, molti depositanti hanno deciso di prelevare quanti più dollari possibile in contanti. Circa 5 miliardi di dollari sono stati ritirati solo negli ultimi quattro mesi. Hezbollah da un lato ha intensificato le sue critiche al sistema bancario, dall’altro incoraggiato le persone a scambiare e depositare i propri soldi in istituzioni finanziarie a lei collegate, in particolare la fondazione al-Qard al-Hassan, presso la quale, man mano che l’economia peggiora, un numero maggiore di cittadini si rivolge con la possibilità di avere dollari statunitensi a tassi più convenienti rispetto ai mercati neri.
La crisi libanese matura in singolare concomitanza con l’offensiva turca in Siria. Il tentativo molto deciso da parte USA di destabilizzare il Paese dei Cedri ha ovviamente molto a che fare anche con il sostegno inter-nazionalista militare che Hezbollah fornisce, insieme con iraniani e russi, alla Siria aggredita da Paesi occidentali (USA in testa), petromonarchie del Golfo e salafiti-wahabiti tagliagole. Un Libano in fiamme minaccia però di produrre effetti anche nella UE. Il piccolo Paese arabo ospita nei suoi campi oltre 1 milione di profughi delle varie guerre in corso, su un totale di 5 milioni di abitanti, come se non bastasse il focolaio di instabilità rappresentato in tal senso dalla Libia e dai profughi che Erdogan, nelle sue ambizioni imperiali di sultanato neo-ottomano, sta usando facendoli passare in Grecia per esercitare pressioni sulla UE. Per i suoi interessi espansionistici, di annessione, in Siria, Erdogan ha bisogno del sostegno della UE e della NATO, di cui la Turchia peraltro è Paese membro.
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