Brexit e Labour di Coryn. Il lascito del voto britannico

Da tre anni e mezzo –dal referendum (giugno 2016) sulla Brexit– media, politologi, economisti e compagnia di giro, tutti oltranzisti pro UE, hanno raccontato che della Brexit gli inglesi si erano pentiti subito, anche non pochi di coloro che l’avevano votata, che prova ne erano le manifestazioni di piazza da un milione e passa di persone con connessa petizione di diversi milioni di cittadini britannici per un nuovo referendum, che il voto anti UE era maturato con uno scarto ristretto, che non poteva essere rappresentativo –a fronte del voto “giovane” pro UE– quello dei “vecchi”, una miscellanea di istupiditi, egoisti, mentecatti inconsapevoli e incuranti della catastrofe che s’andava ad aprire: devastante crisi economico-sociale in arrivo, crollo della produzione, maggiori costi delle importazioni, prezzi alle stelle, sterlina deprezzata, recessione a gogò, un popolo sotto i ponti! Insomma, si doveva andare ad un secondo referendum di liberante e gioiosa apoteosi euro-unionista e scongiurare il disastro.
Poi, poche ore fa, le elezioni. Di fatto un secondo referendum perché incentrate sul tema Brexit sì / Brexit no. E la Grande Bolla si è dissolta: i fautori della Brexit (più “inglesi” che “britannici”) hanno stravinto, con margini di gran lunga più ampi rispetto al 2016, strapazzando e sfondando anche in roccaforti (del Labour di Corbyn) operaie e del ceto medio impoverito.
Ancora una volta i media dominanti –quelli cioè filo UE, filo USA, filo globalizzazione capitalistica– si sono rivelati grandi mezzi di manipolazione e di costruzione di bolle, demonizzanti o magnificanti a seconda delle convenienze. Sulle grandi questioni internazionali, laddove il silenziamento non è ritenuto opportuno o non è possibile, si tratta della norma (per limitarci a questa decade che si sta chiudendo: Libia, Siria, Ucraina, Iran, Venezuela, ecc.). Colpisce come, poco poco che ci s’informi per canali alternativi a quelli sistemici, si arrivi a scoprire il rovesciamento della realtà dei fatti, che viene operato con sfrontata disinvoltura e cinismo. Riecheggiano le parole di Malcolm X: “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono”.
E non sono da meno sulle questioni interne, dove musica e suonatori non cambiano. Pensiamo, per l’Italia, solo per restare a questa delicatissima fase politica, a come viene trattata la doppia operazione a tenaglia del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) e dell’Autonomia Differenziata/Regionale, entrambe di matrice europeista, che fattivamente predispongono non solo ad un ulteriore balzo in avanti del processo di cancellazione dei diritti sociali d’interesse collettivo ma sembrano puntare alla stessa disintegrazione dello Stato e dell’unità nazionale.

Per restare sul voto britannico. Imbarazzo a mille tra i corifei nostrani pro UE. Anche perché i tanto magnificati mercati sembrano non averlo disprezzato: la sterlina vola sui mercati valutari nel cambio con il dollaro e l’euro, a significare un afflusso di capitali che si sgancia da altre aree, non a caso soprattutto da quella euro. Il che apre certamente a delle riflessioni da fare, ma sfata uno dei luoghi comuni catastrofistici della vulgata neo/ordo-liberale euro-unionista contro chi si vuole liberare dalla UE.
Infine il punto più significativo. Jeremy Corbyn ha presentato un programma elettorale del Labour socialmente avanzato, come non si ricordava dal laburismo dell’immediato secondo dopoguerra, con misure anti-liberiste spiccate quali risposte alle domande di protezione sociale provenienti dalle fasce di popolo più in sofferenza economica. Se, con realismo, ha colto la necessità del recupero di un ruolo di direzione dello Stato nei processi economici da un lato e dall’altro dell’adozione di misure di protezione rispetto ai movimenti di capitali, merci, servizi (insomma, un tentativo in contro-tendenza con le prescrizioni neoliberali in generale e ‘made in UE’ in particolare), pur tuttavia gli è stato fatale il posizionamento ambiguo sulla Brexit per tenere unito il partito con i falchi filo-UE ‘blairiani’ (sì ad un secondo referendum sulla Brexit e relativa posizione da assumere al riguardo non chiaramente pervenuta).
Ha cioè slegato la praticabilità di quelle istanze rivendicative politico/sociali dal ‘nodo’ preliminare e principale della liberazione del Paese dai vincoli recessivo-austeritari-predatori euro-unionistici. Rimuovendo la rivendicazione politica cruciale della sovranità e della liberazione nazionale, le istanze rivendicative sociali anche avanzate diventano aria fritta.

Le destre, pure sprovviste di una qualunque visione sociale avanzata, mostrano di saper cogliere opportunisticamente la valenza conflittuale ed emancipativa che evoca la riconquista della sovranità e dell’indipendenza politica, salvo lasciarla nell’immaginario e rieditare modelli sociali ineguali analoghi a quelli ‘made in UE’ messi in discussione. Intanto, però, vanno all’incasso elettorale dell’avversione profonda che strati sociali sempre più consistenti di diversi popoli sul continente europeo nutrono patriotticamente contro l’Unione Europea.
L’esperienza del Labour non è un caso isolato. In altri Paesi del continente le cosiddette sinistre (maggioritarie e non solo) sono anche più arretrate rispetto al programma del Labour, ma tutte condividono la stessa internità alle logiche (strutturalmente ed immodificabilmente di destra) della globalizzazione trans-nazionale, cioè della veste ideologica moderna delle aspirazioni egemoniche dei colonialismi regionali (vedi nella UE l’asse franco-tedesco) o imperialismi su scala mondiale (USA).

Ecco, questo è il lascito più importante che viene dal voto britannico. Come è pensabile difendere gli interessi di chi lavora, subordinato o autonomo che sia, delle micro-imprese, financo dell’ambiente, come è pensabile ritornare ad una piena funzione pubblica dei servizi sociali (sanità, scuola, pensioni, ecc.), come dare corpo ad un piano di rilancio industriale nei settori ritenuti strategici, come svolgere politiche più estese e più espansive, mirate alle esigenze della collettività sociale e del Paese, se non si rompe con il libero (alla capitalista!) mercato, con i princìpi di concorrenza, con l’idea di deregolamentazione, di assenza di vincoli di alcun tipo (giuridici, morali, sociali, ambientali, ecc.), con l’idea di stato sociale minimalissimo che sono la ragion d’essere dell’Unione Europea e sono sanciti dai suoi Trattati?

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