Umbria, dalle urne

Qualche considerazione sul voto regionale 2019 in Umbria (703.596 aventi diritto).
Innanzitutto un’affluenza elettorale (455.184 votanti – 64,69%) più alta se comparata a quella delle regionali del 2015 (391.210 votanti – 55,43%) e di pochissimo inferiore al voto di pochi mesi fa –il 26 maggio– per il parlamento europeo (465.177 votanti – 67,69%) a significare la volontà di strati consistenti di popolazione di far sentire la propria voce in un misto di fermento e malessere diffuso, per quanto sia ancora ‘fuori’ una porzione consistente di popolazione che si è astenuta (il 35%).

Rispetto al maggio scorso, al netto della diversa natura e ‘valenza’ politica elettorale, si registra un dimezzamento del M5S (sceso a numeri di poco superiori al… partito di Berlusconi!), una leggera flessione per Lega e PD, che è più significativa per Forza Italia in costante discesa, con –invece– una forte ascesa di Fratelli d’Italia (FdI). Un centrodestra che conferma la linea di tendenza verso un rafforzamento bipolare (Lega e FdI) più che tripolare (con Forza Italia), la cui forza d’insieme è allo stato data dal presentarsi all’opposizione nel Paese. Tutt’altro che un asse, però, stante le profonde fratture reciproche e interne (Lega) e soprattutto, a ben analizzarne le istanze politiche, un’illusoria alternativa al già precario e da oggi più scricchiolante governo Conte due, essendo Lega e FdI interni al campo neoliberista euro-atlantico: la Lega ha avuto modo di evidenziarlo nei suoi mesi al governo soprattutto per ciò che millantava di voler fare e che poi ha ritrattato.
Il fantasmagorico ‘sovranismo’ di Lega e FdI, non a caso pompato dalla grancassa massmediatica pur in presenza delle continue smentite di fatto dei soggetti in causa (atti, prese di posizioni, proposte…), si sta mostrando come un’operazione di drenaggio delle aspettative di forte cambiamento che provengono dal Paese destinate ad essere da quelle forze disattese. Il loro programma liberistico, ammantato di ‘socialese’, si contrappone fittiziamente al meccanismo di stritolamento economico-sociale euro-unionistico che è alla base del degrado anche dell’Umbria, e non a caso trova sublimazione in quel “regionalismo differenziato” (anti-nazionale ed anti-sociale) che da decenni è nei desiderata ‘europeisti’ franco-tedeschi per invalidare, se non disgregare, un ‘competitor’ possibile come l’Italia. Insomma, ancora regge l’illusorietà di un ruolo alternativo delle destre allo sfascio determinato dal combinato UE-euro, illusorietà non smascherata ‘a sinistra’ (da molti anni anche le tornate elettorali sono lì a dimostrarlo) per l’insipienza
a-nazionale, europeista, quindi fattivamente non socialista, di chi pure agita ed urla il “pericolo delle destre”.

‘A sinistra’ il PC di Rizzo passa dai 7001 voti delle europee ai 4484 del capolista regionale Rubicondi (i voti alla lista sono 4108). PCI e Potere al Popolo, presentatisi insieme, ottengono 2098 voti il PCI e 1345 Potere al Popolo (il capolista Camuzzi: 3846), laddove alle europee, uniti ne “La Sinistra”, i voti erano stati 9427. Insomma, nel suo insieme, un forte ridimensionamento di numeri peraltro già ultra modesti, nonostante anche in questa regione non mancassero le ragioni per raccogliere in abbondanza voti di protesta, ‘antagonisti’: forte crisi economica, deindustrializzazione galoppante, agricoltura in sofferenza prolungata, disoccupazione ed emigrazione in crescita, “sanitopoli”, terremotati sostanzialmente abbandonati a loro stessi, eccetera.
Queste forze ancora una volta (e forse sarebbe necessario interrogarsi a fondo sul ‘perché’) mostrano di non saper intercettare una domanda politica di cambiamento che esiste eccome nel Paese, ma che finora non ha trovato una degna rappresentanza stante l’offerta pseudo alternativa delle destre.

La dichiarazione sul fallimento dell’«esperimento» (così l’ha definito “il Capo” del M5S, Luigi Di Maio) giallo-rosée in Umbria, preludio possibile alla caduta del governo Conte due, è positiva perché aprirebbe ancora meglio una crisi dentro entrambi i partiti (M5S e PD). Certo, c’è già chi è in campo per scongiurare quantomeno ‘adesso’ questo fallimento, rinviando una sorta di verifica a dopo la tornata elettorale che ci sarà a gennaio in Emilia-Romagna. Vedremo.
Queste prossime regionali avranno un significato politico maggiore rispetto al voto in Umbria, non solo per il maggior numero di elettori (circa 3 milioni e mezzo) ma anche perché si entrerà ancor più nel cuore del sistema di potere del PD, sia come verifica dell’auspicabile sua non-tenuta sia per le ambizioni del regionalismo –speculare ed altrettanto devastante rispetto a quello delle destre– del ‘governatore’ uscente Bonaccini.
Per altro verso la china del M5S, proseguendo, aprirà praterie e libererà energie che in parte, congiunturalmente, le destre possono ancora intercettare, ma alla lunga non soddisfare, stante la loro natura di internità al quadro sistemico dominante, euro-carolingio o euro-atlantico che sia.
Resta sempre, mai esplorata fattivamente in questo Paese, la via maestra del connubio naturale ed ineludibile tra le tante istanze di emancipazione e rinascita che provengono dalla società italiana (da raccordare in un progetto di alternativa al sistema di potere dominante) e la preliminare conquista popolare della sovranità e dell’indipendenza nazionali. Non ci sarà mai cambiamento effettivo se non ci si farà potere, governo non imbrigliato da vincoli di dipendenza e di sudditanza.
Per questo fine –per una sovranità non qualunque, non confusionaria e non approssimativa– “Indipendenza” opera da tempo. Per chi si senta in sintonia, l’invito è a contattarci per entrare meglio nel merito del lavoro politico da portare avanti e che in alcune battaglie ci vede impegnati insieme ad altri.

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