L’Unione Europea (UE) non consente l’applicazione di ricette socialmente avanzate; “di sinistra”, si sarebbe detto un tempo. Altro che cambiarla dall’interno. Lo attestano le elezioni politiche di domenica scorsa in Grecia. Ossequiando la Troika, il governo a trazione sinistra (Syriza) di Alexis Tsipras ha consentito a Kiriakos Mitsotakis, convinto liberista, di riportare al potere Nea Dimokratia (ND), il partito europeista di destra che ora, con la maggioranza assoluta ottenuta, potrà governare senza nemmeno necessità di alleanze.
Ad una popolazione prostrata da anni di tagli e di immiserimento è bastato promettere astrattamente crescita e prosperità. Se i tagli alle tasse, cresciute in modo significativo negli ultimi anni, hanno inteso catturare il consenso di imprese e classe media (i settori più colpiti dalla elevata pressione fiscale degli ultimi anni) a scorrere alcuni punti del programma di ND il futuro che si prospetta non sarà roseo per i più ed è tutto di marca UE, da “grande sogno” insomma: riduzione della spesa pubblica (con impatto dichiarato su sanità, scuola, amministrazione), privatizzazioni, incentivi per attrarre gli investimenti privati esteri, revisione della gestione pubblica con meno burocrazia e meno funzionari, cioè con prospettive di licenziamenti nel pubblico impiego. Non poteva mancare il velleitario voler ridiscutere con la Troika l’obbligo dell’avanzo primario al 3,5% del Pil fino al 2022.
Il paradosso è che, con questa ricetta neoliberale, su un’affluenza al 57,92%, torna al potere il partito che ha portato al collasso il Paese. Non è paradossale invece che alla brutta copia ‘liberal’ della sinistra (Syriza) ora si preferisca l’originale della destra ‘liberal’ (Nea Dimokratia). Una stucchevole alternanza. Se ne traggano le conseguenze se si vuole davvero farla finita con le misure depressive, repressive ‘austeritarie’ imposte dalla UE.
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