CasaPound su Atac e Tav

Al referendum consultivo su Atac, CasaPound Italia (i “fascisti del III millennio”) invita a non votare. Il quesito, dicono in una nota, è posto male e pertanto auspicano che non venga raggiunto il quorum. Nella nota, dopo essersi detti contro la privatizzazione e aver criticato il disastro del trasporto pubblico romano (meglio sarebbe dire: della gestione privatistica del trasporto pubblico romano), motivano il loro invito testualmente così: “C’è il rischio che i cittadini proprio a causa di questo scenario disastroso e perché vittime della disinformazione, votino a favore della privatizzazione”.
Una motivazione talmente sballata, sconclusionata in sé, che vien da pensare ad ‘altro’. Stante, infatti, la valenza politica del referendum peraltro consultivo, a chi giova il non voto di chi si dice contro la privatizzazione? Ovviamente a quel fronte –a parole da CasaPound criticato– che ha promosso il SI, fautore della liberalizzazione (cioè dello spezzatino in lotti e micro-lotti, in monopolio di fatto privato a tempo, del trasporto pubblico a Roma), che significa “senza rischio d’impresa” derivando il lucro dai soldi pubblici ottenuti con l’aggiudicazione delle gare d’appalto per definizione al ribasso. Un fronte del SI sostenuto quindi dagli appetiti privatistici sulle gare d’appalto del servizio (ma si veda pure il pericolosissimo secondo quesito referendario) e anche da quelli speculativi di chi ambisce a mettere le mani sul patrimonio immobiliare di Atac.
Insomma, quesiti posti tutt’altro che “male” e su cui, di fatto, si consumano significative convergenze.

Un po’ come a Torino. A stretto giro di ore, infatti, CasaPound declina la sua partecipazione alla manifestazione pro-TAV (Treno ad Alta Velocità) nel capoluogo piemontese poi tenutasi sabato 10 novembre. All’ultimo momento, come degli Alice nel Paese delle Meraviglie, scoprono che la manifestazione ha tra i suoi promotori Partito Democratico e Forza Italia, e quindi, non volendo avere nulla a che fare con certe sigle, ritirano la loro adesione.
Altra scelta poco conseguente. Rifiutano di condividere la piazza con certi soggetti politici, salvo però non dissentire da una “Grande Opera” (la TAV Torino-Lione) dannosa all’ambiente, costosa, inutile, ma tanto tanto profittevole per aziende gravitanti ed intrecciate per interessi ed affinità ideologica proprio con quei soggetti politici da cui si vuol far vedere di prendere le distanze.
Una curiosità. Gli organizzatori della manifestazione di Torino hanno voluto connotarla con il colore “arancione”, lo stesso della “rivoluzione colorata” che in Ucraina vide fallire nel 2004 il primo tentativo di golpe euro-nazi-atlantico, vittorioso invece nel 2014 con l’ascesa al potere, insieme agli oligarchi ‘liberal’, di partiti neonazisti come Prawj Sektor e Svoboda –formazioni “camerate” di CasaPound– finanziariamente, politicamente, militarmente sostenute da Stati Uniti e Unione Europea.
Insomma, fascisteria ed atlantismo: un connubio che l’Italia dal secondo dopoguerra, almeno da Portella delle Ginestre (1° maggio 1947), ha tragicamente avuto modo di conoscere bene.

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