Tesi sulla scuola (in pdf, di seguito il testo esteso)
Tesi di “Indipendenza” sulla scuola
- Le riforme della scuola messe in atto dai governi italiani negli ultimi decenni (senza alcuna distinzione tra centro-destra e centro-sinistra) hanno il loro comune denominatore nella matrice schiettamente neoliberista che le caratterizza. La progettazione e la messa in campo di un modello che risolva gli annosi problemi dell’istruzione italiana e che migliori realmente la qualità della formazione nel nostro paese, passano quindi necessariamente per il rifiuto radicale del paradigma affermatosi a partire dagli anni Novanta.
- Il primo fondamento della scuola neoliberista è quello inerente le finalità dell’istruzione stessa: non più la formazione culturale dell’individuo e del cittadino, mediante l’acquisizione del sapere e la coltivazione dello spirito critico, bensì l’addestramento di docili yes-men, pronti ad accettare la precarietà lavorativa come un dato indiscutibile, disposti ad una mobilità permanente e soprattutto privi degli strumenti culturali e critici per mettere in discussione questo orizzonte culturale ed esistenziale, e di conseguenza la loro condizione. Tale mutamento epocale si è dispiegato grazie al legame sempre più scoperto tra gli istituti e il mondo dell’imprenditoria privata, il quale ha finito col condizionare in maniera sempre più stringente la vita scolastica. Ultima riforma in ordine di tempo ad andare in questa direzione è stata quella che ha introdotto l’alternanza scuola-lavoro. Questa è andata configurandosi come un’occasione concessa agli operatori economici privati per avvalersi di manodopera a costo zero e soprattutto addestrare gli studenti a un mondo del lavoro caratterizzato da una precarizzazione sempre più spinta e da una progressiva, totale assenza di diritti, tanto da arrivare ad annoverare persino il lavoro a titolo gratuito come una pratica assolutamente normale. Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa quindi recidere senza se e senza ma il legame tra gli istituti e le aziende, riaffermando senza se e senza ma il principio dell’indipendenza della scuola dalle logiche e dagli interessi capitalistici. Compito della scuola non è addestrare yes-men intorno al mantra del produci-consuma-crepa, ma formare persone, le quali devono essere in primo luogo cittadini consapevoli.
- Il mutamento delle finalità della scuola dalla formazione all’addestramento si coniuga con il mutamento del paradigma didattico: dalla trasmissione di conoscenze si passa all’acquisizione di competenze immediatamente spendibili nella vita quotidiana e soprattutto in ambito lavorativo. La retorica relativa alle competenze e la contemporanea svalutazione delle conoscenze (la quale colpisce in modo particolare le discipline umanistiche, considerate “inutili” in ottica lavorativa e potenzialmente “pericolose” per via della loro capacità di favorire lo sviluppo di un punto di vista critico nei confronti della realtà) sono condotte in maniera agguerrita dalla pedagogia accademica, sulla base di invenzioni didattiche dal dubbio fondamento epistemologico e di un assioma che vede le conoscenze in se stesse come sostanzialmente inutili. In questo modo viene svilito enormemente il ruolo del docente, cui non spetta più il compito di trasmettere agli studenti un corpus di conoscenze –le quali dovranno beninteso essere acquisite da questi in maniera critica e consapevole, attraverso un approccio maieutico all’insegnamento– bensì quello di fungere da semplice facilitatore di un apprendimento il più possibile “autonomo” (nel senso di indipendente dalla figura del docente, quanto allo stesso tempo dipendente dalla rete e dalle piattaforme digitali) da parte degli studenti stessi, col risultato che le conoscenze acquisite saranno inevitabilmente semplificate e banalizzate, facendo perdere ad esse ogni valenza autenticamente formativa. Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa quindi ridare centralità al valore del sapere e al ruolo dei docenti, affermando il principio che le vere competenze sono date dall’acquisizione consapevole delle conoscenze.
- Altro elemento caratterizzante del paradigma delle competenze è dato dall’esaltazione acritica dell’utilizzo delle tecnologie nella didattica, con la motivazione che la scuola deve adattarsi all’ambiente tecnologico in cui gli studenti sono immersi sin dalla più tenera età. Di qui la svalutazione del libro di testo come strumento, in favore di piattaforme digitali, applicazioni e strumenti multimediali in genere.Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa pertanto assumere una concezione meno apologetica del ruolo delle tecnologie nella didattica. Compito della scuola non può infatti essere quello di accettare in maniera acritica tutti gli stimoli che arrivano dall’esterno, bensì dotare gli studenti dei necessari strumenti critici per rapportarsi in maniera consapevole alla realtà che li circonda. In tal senso il ruolo dei testi deve rimanere centrale.
- Un altro fondamento essenziale del paradigma della scuola neoliberista è rappresentato dal modello della scuola-azienda, con le sue molteplici nefaste implicazioni. Occorre quindi rompere globalmente con questa concezione della scuola, senza se e senza ma.
- Il primo cardine della scuola-azienda è costituito dalle logiche di bilancio con cui è gestita l’istruzione. I tagli alle ore d’insegnamento e l’aumento del numero di alunni per classe hanno come principale conseguenza il peggioramento della qualità dell’insegnamento, oltre che naturalmente la perdita di posti di lavoro e la correlata precarizzazione di molti docenti. Occorre inoltre tenere presente che il drastico ridimensionamento delle risorse a disposizione degli istituti costringe le singole scuole a chiedere alle famiglie contributi monetari, ormai indispensabili per il funzionamento delle stesse. Infine non si può ignorare la tendenza alla scomparsa e/o l’accorpamento di numerosi istituti, sulla base del criterio del raggiungimento di un numero minimo di iscritti. Questa tendenza colpisce in particolare le aree meno densamente abitate (ma non solo), col risultato di costringere molti studenti a spostamenti quotidiani anche molto lunghi per poter frequentare la scuola, il tutto nel ben noto quadro di deterioramento delle reti di trasporto pubblico locale. Va inoltre chiarito che l’eliminazione e l’accorpamento di plessi scolastici concreta un abbandono da parte delle istituzioni di aree spesso ‘critiche’ per problemi legati alla devianza giovanile e all’infiltrazione malavitosa, privandole di centri aggregativi sani. Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa quindi riaffermare il principio secondo cui l’istruzione è un diritto del cittadino nonché un servizio pubblico e come tale non può essere gestita secondo logiche aziendalistiche: occorre ridurre drasticamente il numero di alunni per classe, ripristinare le ore d’insegnamento tagliate nel corso degli anni, sostenere economicamente il comparto eliminando così i contributi richiesti alle famiglie e difendere l’esistenza degli istituti più piccoli, pensando semmai a consorziare le scuole di una stessa zona in relazione ad alcune attività specifiche (ad esempio quelle sportive) che risultino particolarmente dispendiose per un istituto di piccole dimensioni.
- Il secondo cardine della scuola-azienda è rappresentato dall’autonomia scolastica, le cui nefaste ricadute sono molteplici, a partire dall’affermazione della logica competitiva in base alla quale gli istituti fanno a gara per procacciarsi il maggior numero possibile di allievi. In questo modo studenti e famiglie diventano a tutti gli effetti clienti da soddisfare garantendo loro il successo formativo, pena il rischio che optino per un altro istituto. Non è difficile da cogliere in questa deriva una delle principali cause della degenerazione dei rapporti tra studenti e insegnanti e tra genitori e insegnanti, figlia della perdita di autorevolezza dei docenti e del rispetto per il loro ruolo, ormai sempre più svalutato. La logica competitiva insita nel concetto di autonomia produce poi una sempre più marcata differenziazione dell’offerta formativa, col risultato di rendere impossibile un asse culturale nazionale della scuola. Di contro, la competizione per garantirsi le poche risorse disponibili favorisce l’introduzione di prove tanto standardizzate quanto svilenti sul piano formativo, come i famigerati test INVALSI che finiscono col trasformare il processo d’apprendimento in un semplice addestramento volto al superamento dei test. La professionalità dei docenti viene in questo modo messa in discussione anche in riferimento al momento della valutazione, rispetto alla quale la loro funzione diventa sempre più passiva. Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa quindi rigettare il principio dell’autonomia scolastica e della competizione tra istituti, ridefinendo i rapporti tra docenti, studenti e famiglie senza più considerare questi ultimi come clienti da soddisfare e riconoscendo così l’autorevolezza e la professionalità degli insegnanti. Ma soprattutto significa ripensare i programmi sulla base di un asse nazionale della scuola e non differenziarli da istituto a istituto in nome del mercato.
- Conseguenza delle logiche aziendalistiche e dell’autonomia è la managerializzazione della gestione degli istituti, che ha portato a un mutamento della natura della funzione del preside, oggi “dirigente scolastico”: non più un primus inter pares, ma un vero e proprio manager investito di poteri e margini di discrezionalità sempre più ampi, soprattutto in relazione al corpo docenti. Rompere col paradigma della scuola neo-liberista significa quindi ripristinare la collegialità nelle decisioni inerenti la vita scolastica e tutelare l’autonomia degli insegnanti nelle scelte didattiche.
- Altra conseguenza diretta della gestione aziendalistica e dell’autonomia è la divaricazione tra scuole di serie A e scuole di serie B, sulla base del loro bacino d’utenza (i clienti), col risultato che le scuole delle aree più popolari avranno risorse inferiori a quelle delle zone caratterizzate da un reddito medio più elevato. Ciò a causa della dipendenza dei contributi versati dalle famiglie, i quali come è ovvio differiscono in maniera sensibile in relazione al reddito delle stesse, contribuzioni peraltro dalla valenza intrinsecamente ricattatoria rispetto alla libertà di insegnamento costituzionalmente tutelata. Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa pertanto non accettare questo tipo di disparità ed affermare il principio che l’accesso a un’istruzione di qualità sia garantito a tutti e tutte, senza discriminazioni di classe.
- Il paradigma della scuola neoliberista non è il frutto di autonome decisioni politiche nazionali, ma è stato teorizzato in sede UE e di altre organizzazioni sovranazionali euro-atlantiche (OCSE) di cui l’Italia fa parte. Rompere con il paradigma della scuola neoliberista significa quindi rompere necessariamente con un’idea di società che riconosce come unico “valore” ciò che è funzionale alla realizzazione del profitto. Un’idea di società promossa e imposta dall’UE da cui è necessario svincolarsi per poter riaffermare autentici princìpi di civiltà. Più in generale, è necessario che l’Italia metta in discussione la sua dipendenza euro-atlantica, produttrice di guerre infinite, che oltre a seminare morte e odio sottraggono immense risorse a quel patrimonio pubblico che dovrebbe essere speso per il bene comune.
Indipendenza
(VI^ assemblea, Roma, 24 marzo 2018)
per un maggiore approfondimento sulla prospettiva di Indipendenza sulla scuola si invita a prendere visione e diffondere Capitalismo globalizzato e scuola, di Massimo Bontempelli e Fabio Bentivoglio, secondo titolo della collana bibliografica di Indipendenza.
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