La Catalogna che non viene raccontata

“Il rispetto dello Stato di diritto non è un optional”. Con queste parole il vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, bollava in negativo, pochi giorni fa, il referendum catalano del 1° ottobre, precisando che “non era legale” ed auspicando dialogo e soluzione di una questione, quella catalana, che Bruxelles ritiene “interna spagnola”. Si tratta dell’ennesima presa di posizione di un alto rappresentante unionista europeo che conferma come la UE non stia affatto soffiando sul fuoco dell’indipendentismo e come invece stia montando realmente la sua preoccupazione.
Il precipitare della situazione con la dichiarazione d’indipendenza annunciata per domani dal presidente catalano Puigdemont e le conseguenze che ne deriverebbero in termini di stretta repressiva da parte di Madrid (l’art. 155 della Costituzione del 1978 permette di sospendere e commissariare il governo e il parlamento di una Comunità Autonoma; l’art. 116 permette la sospensione delle libertà costituzionali con la proclamazione dello stato d’emergenza e dello stato d’assedio) obbligherebbero Bruxelles a posizionarsi più chiaramente e l’aurea della Grande Narrazione di una UE nata per assicurare uno scenario di pace e sviluppo sul continente ne uscirebbe intaccata e in prospettiva, per tutta una serie di possibili reazioni e conseguenze a catena, forse pesantemente compromessa.

Inoltre, le imponenti manifestazioni degli indipendentisti catalani, tipo quella del 1 ottobre, o lo sciopero generale che ha bloccato la Catalogna martedì scorso, per i settori sociali ed i relativi ‘numeri’ coinvolti, parlano chiaro, parlano di un protagonismo popolare in crescita accelerata e di un’egemonia progressiva della direzione politica delle sinistre radicali nel movimento indipendentista con posizioni tutt’altro che filo UE. Le misure austeritarie neoliberiste ‘made in UE’ veicolate da Madrid anche in Catalogna, del resto, bruciano sempre più pesantemente. La loro natura depressiva, lì come altrove sul continente europeo, congiunta con una risposta repressiva poliziesca/militare non qualificherebbe di per sé soltanto la ‘natura politica’ delle autorità di Madrid, ma renderebbe esplicito ciò che produce ed è l’Unione Europea nel dispiegamento progressivo delle sue ‘politiche di sviluppo’.

In questo contesto appare peraltro sempre più ‘fantasiosa’ la tesi dei grandi gruppi oligarchici economico-finanziari che ‘starebbero dietro’ l’indipendentismo catalano per salvaguardare meglio, ‘fuori dalla Spagna’, i propri interessi.
Il “Cercle d’Economia” è il forum dove sono rappresentati i due grandi gruppi bancari catalani (CaixaBank e Sabadell) e numerose imprese industriali, le più significative, della Catalogna. Insomma, è l’organismo economico-finanziario del capitalismo catalano, quello che, per intenderci, secondo certa vulgata, vorrebbe la “ricca Catalogna” indipendente per meglio valorizzarsi nella UE e nel capitalismo globalizzato a regìa USA.
La Vanguardia però riferisce qualcosa di profondamente diverso. Juan José Brugera, presidente di questo circolo, accompagnato dal direttore generale del “Circle”, Jordi Alberich, nell’incontro di sabato scorso con Puigdemont (presidente della Generalitat de Catalunya dal 2016), ha espresso la contrarietà del loro organismo alla dichiarazione d’indipendenza. Per il “Circle” sarebbe “una bomba per l’economia catalana”, comporterebbe una fuga massiccia di imprese ed esporrebbe al castigo dei mercati finanziari e delle borse. Argomenti che, con sempre più insistenza intimidatoria, si sentono anche fuori dalla Spagna, da ambienti politici, economici e finanziari che contano a livello globale.
Su che basi poggia, quindi, la su indicata tesi? Non sarebbe irrilevante cominciare a chiederne conto a chi la sostiene.

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Rivista patriottica e sovranista italiana impegnata in una battaglia di liberazione sociale dall'egemonia euroatlantica rifacendosi ai valori della Resistenza
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